Quando scomparve il carnevale aquilano – Dal sisma del 1703, un indelebile “fioretto”


L’Aquila – (di Gianfranco Colacito) – (Foto: il castello di Rocca Calascio semicrollato nel 1703, una mappa della città di allora, uno dei gigli di ferro comparsi sui palazzi ricostruiti e immagini sacre con S.Emidio, protettore importato da Ascoli Piceno) – Le prime forti scosse del tremendo disastro sismico di trecento anni fa arrivarono mesi prima del gennaio e del febbraio 1703, distruzione dell’Aquila dovuta al terremoto ben più forte di quello del 2009. S.Emidio, protettore contro i terremoti, ancora non era stato importato da Ascoli in Abruzzo, o era distratto altrove.
Prime scosse, anche forti e numerose, a conferma che le scosse “premonitrici” esistono, anche se non sono una assoluta certezza scientifica e statistica. Ad essere più precisi, forti terremoti c’erano stati nel secolo precedente ( 1646 e 1672 ), tutti devastanti anche se non catastrofici per l’Aquilano. Nel 1702, forte evento a Norcia.
E se ne va anche un’altra frettolosa certezza, che tale non è: il periodo di ritorno. Non risulta, purtroppo, che sia di 300 anni come si va dicendo in giro (anche da fonti autorevoli che farebbero bene a tacere), mentre invece storicamente è evidente ben altro.
Scosse, dunque, da almeno 50 anni, prima del febbraio 1703, la Candelora listata a lutto per la città di Federico II. Ma, volendole trascurare, perchè risalenti appunto a mezzo secolo prima, è certo che i terremoti devastanti del 1703 furono due, e che un terzo, nel 1706, colpì la Maiella, epicentro a Campo di Giove, Sulmona e molti altri centri semidistrutti o danneggiati profondamente. Il 14 e il 16 gennaio 1703 due forti sismi, pare 6,8 Richter, epicentro in alta Valle dell’Aterno, Montereale rasa al suolo con 800 vittime. Nessun morto altrove e nemmeno a L’Aquila, che pure prese due botte spaventose.
La fine arrivò il 2 febbraio successivo (tante scosse forti una appresso all’altra, dunque non esiste nei terremoti un culline dopo il quale i fenomeni “scendono”), intensità stimata da studi storico-scientifici in 6,7 Richter, dunque molto, molto più forte del sisma del 2009. Centinaia di volte più forte. Epicentro più vicino a L’Aquila, si pensa ad almeno 6.000 vittime in tutto il comprensorio, 800 delle quali soltanto nella chiesa di S.Domenico. A seguire, un’infinità di scosse per mesi e mesi. Un autentico terrore strisciante, che tuttavia non impedì la ricostruzione.
Era infatti già cominciata quando, nel 1706, arrivò il terremoto di Sulmona. Erano trascorsi sono poco più di tre anni, e le cose, evidentemente, procedevano molto meglio rispetto ad oggi. Su alcuni palazzi aquilani erano comparsi i gigli di ferro, che la scrittrice Laudomia Bonanni notò e descrisse nei suoi articoli dedicati alla sua città e ai suoi terremoti.
I terremoti abruzzesi ebbero forti conseguenze in tutta la regione, nel Molise, nelle Marche, e causarono danni rilevanti anche a Roma, dove molti palazzi del centro appaiono tuttora rafforzati da “catene” con fissaggio esterno. Come quelle che oggi sono visibili, recentemente adoperate, nei muri esterni di Palazzo Centi.
Da quel 1703, L’Aquila non ha più carnevale o almeno ne ha uno brevissimo. Tutti giurarono di non celebrarlo mai più, in segno di lutto e rispetto per le migliaia di morti. Molti non sanno che è così, lo sentono dire dai nonni, ma si adeguano. Specie dopo il 2009.
Secondo ricercatori (pochi) e storici nel 1703 si ebbero tutti i fenomeni che oggi si spiegano scientificamente: forse luci sismiche avvistate da attoniti contadini, sicuramente profonde spaccature, frane, terreni liquefatti, vulcanelli e fuoriuscite di gas dal suolo. Nei pressi di Vigliano, comparve un laghetto di acqua solfurea. Le acque di pozzi e canali si riscaldarono. In aria per settimane si annusò odore di zolfo. Forse (non lo sapremo però mei) il suolo si sollevò o sprofondò anche di molti centimetri in tutta l’area aquilana. La natura, quando vuole, sa incutere terrore e atterrisce oggi. Figuriamoci allora, tra presagi, profezie, stregonerie, ignoranza, superstizioni e ammonimenti apocalittici. Ora, 306 anni dopo, è bene che tutti sappiano almeno ciò che dice la storia. Visto che nessuno la insegna, nessuno la evidenzia, e non ci si cura di una cultura sismica, di un’educazione sismica diffusa. “Se ne riparla fra trecento anni…” è davvero la frase più stupida e incosciente.


31 Gennaio 2013

Categoria : Storia & Cultura
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