Sacrilegio aquilano


Sicuramente i progetti case post terremoto sono stati urbanisticamente parlando un disastro, anche se li ritengo personalmente una salvezza per L’Aquila dei cittadini normali, ma nulla sorpassa il buco nero di mistero della ricostruzione del centro storico dell’Aquila gestito da aquilani in un mix amministrativo di associazioni occulte, fondazioni, amministratori di condominio e costruttori che stanno facendo tutto senza regole e quindi senza responsabilità. Per il centro storico furono istituite e normate le cosiddette aree a breve sulla base delle quali in migliaia fecero delle scelte di vita confidando nel rispetto delle regole e nel cuore dei burocrati in una tragedia come quella aquilana.

Poi venne il tempo delle contesse, dei baroni e dei comunisti con le proprietà di palazzi interi ma senza un euro per ricostruire e tutti supportati da una giunta di sinistra che si definisce democratica e che ha dato priorità alle case museo con il canale privilegiato della sovrintendenza che regala milioni di euro a spese dei contribuenti italiani veri per far speculare commercialmente i proprietari dei palazzi senza dare priorità ai residenti ancora abbandonati nelle periferie con due stanze a famiglia.

Ora ci si prepara ad una nuova doppia campagna elettorale con tanti benefattori della società in giro per le tristi sale degli alberghi a cercare consenso con il cappello in mano e con i dentoni russi ben in vista dietro il sorrisetto di simpatia per far vedere di essere allegramente in tanti e quindi nella ragione o quanto meno nella ragione di peso. Parate di abbracci e di promesse guardandosi negli occhi che tutti sanno, sia chi le da e sia chi li riceve, che non potranno essere fedeli e soddisfatte ma nonostante ciò si vive il momento di speranza e lo si consuma con orgoglio di appartenenza.

Nel mentre, a cinque anni abbondanti dalla tragedia dell’Aquila e dopo aver speso quasi una decina di miliardi di euro per una ricostruzione che fa riferimento ad un piano regolatore del 1974 secondo cui si deve ricostruire com’era e dov’era con la stessa tecnologia che fu utilizzata in sede di costruzione e quindi se paglia era paglia dovrà essere, non ci rimane che combattere ed essere partigiani in un deserto di coraggio e nel silenzio non virtuoso e neanche umile di chi dovrebbe alzare il ciglio. In questa pasqua non rimane che il sarcasmo napoletano e rimangono le perle del poeta Gennaro Esposito trovate in una bancarella di libri usati nei vicoletti del centro di Roma.

Sacrilegio

Io songo amante, nu patuto ‘e ll’arte,
ma, ‘nnante a ll’ingiustizia, ‘a metto a pparte.

Pure ‘ncopp’ ‘a Gioconda scrivarria,
pe’ ffa’ fernì ll’abbuso e ‘a tirannia.
Ce levarria chella “resatella”.
E a nu guaglione triste ‘a jesse a dà’.

Tutt’ ‘e musei ne faciarria case,
pe’ dà’ accussì na casa a ‘e ffresche spose,
o faciarria palestre p’ ‘e guaglione,
c’hanno abbisogno ‘e spazio pe’ ghiucà.

Po pigliarria ‘e mobbele chiu antiche
e ne farria falò pe’ dint’ ‘e viche,
ce mettarria attuorno chilli viecchie
ca nun teneno, a vvierno, ‘e se scarfà.

Io songo amante, nu patuto ‘e ll’arte,
ma ‘nnante, a’ vita ‘e n’ommo, ‘a metto a pparte.

in “Ma c”o vulimmo ‘a San Gennaro?” Edizioni Gallina, Napoli 1980.



20 Aprile 2014

Pier Paolo Visione  -  Dottore Commercialista e Revisore legale in L’Aquila

Categoria : Editoriale
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