“In dubio pro reo”, però…


L’Aquila – Scrive Franco Taccia: “Commentare le sentenze dei Tribunali è abitudine consolidata, benchè inutile, da parte di chiunque ed in special modo ad opera di chi non ha competenze di carattere giuridico. Tuttavia in alcuni casi l’uomo della strada riceve un particolare “sollecito” a dire la sua. Mi riferisco al processo per l’omicidio della povera Meredith, avvenuto a Perugia nel 2007 (“soltanto” sette anni fa!) per il quale sin dal primo momento, tra i tanti dubbi, di certo sembrava soltanto che la povera ragazza inglese fosse stata massacrata, che nel suo appartamento, oltre lei, fossero presenti i due ex imputati assolti ieri sera e sin dall’inizio chiamati quasi affettuosamente col nome di battesimo da tutti i media, ed il giovane Rudy Guede (mai chiamato soltanto Rudy; chissà perchè?!).
Alla fine di tutto in galera resta solo Guede che patteggiò e venne condannato per concorso in omicidio e violenza sessuale.
Ma concorso con chi? Per caso con la vittima, che si sarebbe dapprima violentata da sola e poi autoaccoltellata?
“In dubio pro reo” è la nota locuzione latina dalla quale nasce il principio giuridico che antepone la tutela dell’innocente alla necessità di condannare chi ha commesso il crimine.
Sarà, anzi è certamente giusto, resta però il fatto che in Italia in casi come questo come in migliaia di altri, che accadono quotidianamente o sono già accaduti, può venire il dubbio che un omicidio a “più mani” abbia visto la partecipazione della vittima e che frodi, evasioni fiscali, imbrogli da miliardi siano frutto della fantasia degli inquirenti e si siano realizzati da soli, sempre “all’insaputa” dei colpevoli”.


28 Marzo 2015

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