Riflessioni – Quaranta anni di 180


L’Aquila – Riceviamo e pubblichiamo un autorevole e qualificato intervento di VITTORIO SCONCI:

Poche delle migliaia di leggi promulgate dal Parlamento italiano sono entrate nel lessico comune tanto da determinare profondi cambiamenti nella cultura collettiva. Una di queste è certamente la 180. In quel lontano 13 Maggio 1978 la malattia mentale è entrata nel cuore di una Nazione logorata dalla contrapposizione tra un bisogno evoluto di andare avanti e la pervicacia di un forte sentimento reazionario che trovava la sua massima espressione nella violenza esasperata ed esasperante di un terrorismo ad orologeria pronto a bloccare sul nascere ogni parvenza di modernità. I movimenti progressisti che si riferivano al Pensiero liberaldemocratico, ed in maniera prevalente il Partito Radicale, utilizzando la efficacia dirompente dei Referendum, progettavano una nuova Italia a fronte della solita italietta senza anima, fissata sia sulle contrapposizioni scaturite da una guerra civile culminata, sotto un profilo ideologico, senza né vinti né vincitori sia sullo scontro post bellico tra le culture cattolica e marxista. Però sulle ceneri di questi conflitti la stagione referendaria metteva in discussione i vecchi stereotipi aprendo lo spazio alla ricerca di una nuova soggettività il più possibile scevra dai suddetti condizionamenti ideologici e religiosi. Le vittorie referendarie del divorzio e della interruzione volontaria della gravidanza hanno rappresentato l’apice di questo diffuso bisogno di cambiamento contro una politica paurosa e succube dei rispettivi blocchi sociali e sempre alla ricerca di inutili equilibri il più delle volte in ritardo nei confronti dell’immaginario di un popolo alla caparbia ricerca di nuove identità. Il pensiero lungo degli anni sessanta mal si incastonava con la dialettica stantia di un sovradimensionato conflitto di classe e proponeva invece il tema dell’individuo ed il suo diritto alla libertà. Ed è stata proprio la proposta del Partito Radicale di un Referendum che sancisse la chiusura dei Manicomi perché soltanto espressione di violenza e violazione della libertà individuale che indusse la politica a fare una legge ad hoc che garantisse la soddisfazione di questa ritrovata esigenza esistenziale. Una legge quindi subita dalle classi dirigenti di allora, non finanziata, che inserì la Psichiatria in una sorta di dialogo tra sordi su temi che spostavano l’interesse dall’individuo da curare alla Istituzione da distruggere. La salute psichica diventava ostaggio di blocchi ideologici capaci di inventare tante Psichiatrie che si svilupperanno in relazione alla impostazione culturale dei singoli tecnici o, al massimo, delle singole correnti di pensiero. Ne seguirono quelli che mi sento di ricordare come “ gli anni bui dell’abbandono” nel corso dei quali convivevano, quali “separati in casa”, esperienze all’avanguardia, prima fra tutte quella di Franco Basaglia, dove il superamento del Manicomio coincideva con la restituzione del diritto delle libertà negate ed esperienze dove l’alternativa all’Ospedale Psichiatrico era rappresentata dall’abbandono peraltro artatamente giustificato dall’idea posticcia dell’inesistenza della malattia mentale. Le reazioni organizzate dei parenti dei pazienti ed il riconoscimento del diritto alla cura alla pari di tutte le altre malattie, sancito in maniera chiara dalla stessa 180 attraverso la istituzione dei Servizi di Psichiatria negli Ospedali generali, in maniera lenta ma progressiva hanno portato al riconoscimento ufficiale di una organizzazione dipartimentale che mettesse al centro l’interesse della persona nel suo contesto naturale. Dalla struttura chiusa si è passati alla dialettica territoriale determinando la necessità dell’intervento là dove la patologia nasce e si alimenta. Questo nuovo paradigma, ispirato ulteriormente dal fiorire di nuove esperienze avanzate tra cui mi piace segnalare bellissime realtà abruzzesi, ha portato con sé, anche in Psichiatria, il concetto di guarigione a fronte dell’atavico pregiudizio della incomprensibilità ed inguaribilità dei suoi disturbi. Allora, la 180 ha vinto? Per alcuni versi si. Ma c’è ancora tanto da lavorare. E per festeggiare compiutamente questa singolare ricorrenza dobbiamo riproporre temi ancora colpevolmente irrisolti. Due, a mio giudizio, vanno affrontati con urgenza:

1 Il superamento degli attuali Manicomi nascosti sotto il nome di Case di cura. Un fenomeno ancora diffuso in tutto il Paese e che richiederebbe un intervento nazionale non più delegabile alle singole Regioni. Gli interessi molto spesso si sono rivelati troppo attigui alla politica periferica.
2 Uno sforzo per omologare gli interventi a cui sottoporre i nostri pazienti.
Coesistono troppe realtà diverse più interessate alla loro sopravvivenza che alla ricerca di interventi terapeutici e riabilitativi efficaci. Diventa centrale la necessità che tutti si riferiscano, nella pratica quotidiana, alle Linee Guida riconosciute perché siano colmate differenze addirittura abissali trai vari servizi esistenti sul territorio. Ma il futuro è più roseo di quanto si potrebbe pensare. Una serie di operatori, rappresentativi di vecchie e nuove professionalità (Psichiatri, Psicologi, Assistenti sociali, Infermieri, Operatori socio-sanitari, Riabilitatori psicosociali, Educatori), hanno vissuto la loro formazione all’interno di quanto la 180 ci ha insegnato, l’organizzazione territoriale rappresenta una realtà incontrovertibile anche se da migliorare, la restituzione dei diritti riguarda ormai universalmente tutti gli individui. Su questa scia sono stati definitivamente chiusi gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari e sostituiti dalle REMS (Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza) , strutture riabilitative agili ed “umane” dove, a livello nazionale, l’entusiasmo di un vivace e numeroso gruppo di operatori si spinge verso il superamento di un altro atavico pregiudizio: l’assimilazione della Malattia mentale alla delinquenza. Splendida l’esperienza nata a Barete, un paese della Provincia dell’Aquila, dove giovani professionisti della salute mentale, in collaborazione con tutti i Dipartimenti di Salute Mentale abruzzesi e molisani e le Magistrature competenti, nella “loro” REMS stanno “inventando” nuove strade per la ricerca di opportunità sempre diverse al fine dell’integrazione di persone sino a qualche tempo fa condannate all’isolamento totale. Come si vede, ancora una volta, la Psichiatria, sempre grazie a quella legge, raccoglie sfide sempre più complesse.


08 Maggio 2018

Categoria : Società
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