Libri – Il racconto ambientato a Moscufo


Mattino di primo autunno, sfumato come una fotografia antica: interno redazione, finestra su un cortile di vecchie case dove le inferriate traboccano di gerani e tageti, e i gatti dormono raggomitolati tra le crepe dei muri e le carabattole accostate agli usci. C’è un’atmosfera di umile e calda povertà, quella delle commedie di Bertolazzi o di Antonelli, e del grande autore marchigiano si percepisce l’aura; forse, perché nella stanza coi pavimenti di cotto rosso e la fruttiera al centro ci sono, tutt’altro che intrusi fuori dal tempo, un computer e una serie di librerie cariche di altri autori. Uno di essi, è firmato da Lucio Basile, pediatra pescarese, la cui firma compare su un libro appena pubblicato dalla casa editrice Divergenze. E chi opera in quella redazione dalle finestre antiche gli ha rivolto alcune domande.

Quando è scattata in te la vocazione alla scrittura? C’è un libro o una lettura che ha acceso la scintilla?
Nessun evento o libro, mi è sempre piaciuto scrivere; ho cominciato a scrivere racconti già dai tempi del liceo.
Il racconto si svolge in parte nella tua terra, in parte tra il Canada e Roma. Ma il languore e la generosità d’Abruzzo sembrano affiorare in ogni riga: è dunque vero che un luogo non ci appartiene, perché siamo noi ad appartenere ai luoghi?
Il posto dove ho messo le radici è Moscufo e non Roma dove, pure, ho vissuto per trent’anni. Non so esattamente cosa significhi “mettere le radici”, probabilmente significa eleggere un luogo a posto dove emozioni e sentimenti vengono fuori in tutta la loro esplosiva semplicità. Per questo è innegabile che siamo noi ad appartenere ad un luogo e non il contrario.
E quanto, di quei luoghi, portiamo con noi nella fantasia e quanto nella realtà?
Entrambe le cose: quei luoghi esistono ma occupano anche le nostre fantasie perché in essi non avvengono solo vissuti reali ma sono anche sede di desideri e sogni.
Quali sono i generi letterari, ammesso che tu abbia preferenze, che ami maggiormente?
Sono onnivoro (non mi piace la fantascienza).
Hai un modello o dei modelli quando narri oppure segui un’ispirazione svincolata da retaggi o “voci” terze?
Navigo a vista quando scrivo, solo con una semplice bussola che mi permette di mantenere una certa rotta narrativa.
Da quanto tempo avevi in lavorazione, diciamo così, Un tranquillo pavido di provincia, e da dove nasce l’idea del personaggio principale?
Se avessi dato retta alla mia innata indolenza (retaggio del lungo soggiorno romano?) avrei finito il romanzo in un mese. Poi, gli amici mi hanno indotto, nel tempo (diciamo 2-3 anni), a riflettere sulla trama, a indugiare maggiormente sul profilo caratteriale dei personaggi, insomma a lavorarci di più.
Contiene qualcosa di autobiografico, sebbene già Virgilio diceva che non è possibile scrivere di altri senza mettere qualcosa anche di noi?
Avoglia!

E la voglia di leggere un romanzo che affronta temi caldi, sempre attuali, è una sensazione che vieta di indulgere e di indugiare. Un tranquillo pavido di provincia è in tutte le librerie (e sarà presentato nella sala consiliare del Comune di Moscufo la sera del 3 novembre, alle ore 18:00) con il suo carico di scorci familiari, i quadri aspri e spettacolari delle rupi dell’Orfento, le seduzioni lontane del Canada, di tutti i luoghi che il protagonisti si trova a vivere in quel lasciarsi vivere che prima o poi mette ogni uomo di fronte a un lato di sé che credeva di conoscere.

Riccardo Gui, Elena Castelli


06 Ottobre 2018

Categoria : Le Interviste
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