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“Grand Tour a volo d’Aquila”, Goffredo Palmerini racconta l’Italia

16 febbraio 2019 @ 18:33 Categoria: Le Interviste

[1]“«E come si potrebbe non amare Italia? – ha affermato Henryk Sienkiewicz, – Credo che ogni uomo abbia due patrie; l’una è la sua personale, più vicina, e l’altra: l’Italia». Non è la solita rivendicazione di una presunzione culturale, bensì la testimonianza di una matrice spirituale, una sorta di “carattere sacro” che risulta più evidente quando guardiamo questo paese da lontano, magari “a volo d’Aquila” come il Grand Tour di Goffredo Palmerini, edito da One Group. L’esplorazione del giornalista abruzzese ha precedenti famosi, basta pensare al “Viaggio in Italia” di Goethe e Piovene, ma la prospettiva è diversa. Dall’Abruzzo si raggiunge la Calabria attraversando il Gargano e il Salento, senza tralasciare il Garda e il Friuli, e lo sguardo si sofferma su luoghi storici e naturali meno noti con la leggerezza del narratore e la sagacia del reporter.

Quali sono le linee di lettura di questo volume?
“Grand Tour a volo d’Aquila” è un distillato di quanto solitamente scrivo nel corso d’un anno o poco più e che affido alla fitta rete di testate (quotidiani, periodici, riviste, giornali on line, magazine), in Italia e all’estero, e alle agenzie internazionali, con le quali collaboro. Questo mio ottavo libro, in particolare, prende il titolo dai racconti di viaggio che raccoglie, capitoli che narrano l’Italia profonda, quella meno conosciuta all’estero, un’eccezionale cornucopia di singolarità, bellezze artistiche e naturali, tradizioni intriganti, colori e sapori stupefacenti. E’ l’esito d’una collaborazione con il Network i-Italy di New York, diretto da Letizia Airos.

Un’inchiesta che non vuole ricavare una sequenza di cartoline laccate, ma un reportage ancorato alla realtà e ideologicamente non contaminato, né ottimista né pessimista, ispirato dalla spiazzante curiosità che gli detta il suo sesto senso. Un diario di bellezza e di realtà.

Che cosa racconta?
Il libro vuole essere lo specchio della più bella Italia, dentro e fuori i confini. Non solo per i racconti di viaggio, ma anche per i personaggi che incontra, per le storie di vita che racconta, per i fatti e gli eventi che descrive, che siano in Italia o all’estero. Fatti, persone e luoghi che raccontano la bellezza e l’ottimismo, il desiderio d’un Paese – la nostra Italia – che diventi migliore grazie al contributo, piccolo o grande, che ciascuno dei suoi figli di buona volontà riescono a dare con amore, dentro i confini e in ogni angolo del mondo. Nei miei libri c’è l’Italia e l’altra Italia all’estero. C’è la provincia italiana con le sue ricchezze. C’è molto L’Aquila, la città, dove sono nato e vivo, la città che ho avuto l’onore di servire per quasi trent’anni come amministratore civico. La città che sta risorgendo dalla lacerante tragedia del terremoto del 2009.
Prevale la provincia, non più “bella addormentata”, simbolo della decadenza di un mondo autoreferenziale e chiuso in se stesso, bensì un territorio variegato, che si rivela piena di energie e capacità sconosciute e insospettabili. Il capoluogo abruzzese diventa il punto di partenza di un’indagine ad ampio raggio dentro e fuori l’anima di questo paese.
L’Aquila come simbolo di cattiva gestione pubblica del territorio?
Sarebbe ingeneroso e ingiusto un giudizio così tranciante. L’Aquila è una delle più belle città d’arte d’Italia, una bomboniera di bellezze, con una storia importante e singolare fin dalla sua fondazione, a metà del Duecento. L’Aquila, la Regina degli Appennini, ha tuttavia la sua storia contrassegnata da terremoti ricorrenti, i più devastanti nel 1349, 1461, 1703 e il più recente del 6 aprile 2009. L’Aquila è però sempre risorta, grazie alla resilienza della sua gente. Dopo l’ultimo terremoto si è molto indagato sulla gestione pubblica del territorio. In via generale il giudizio non può essere più severo che nel resto d’Italia, come invece talvolta è apparso sui media, in un’informazione sovente gridata e poco fedele alla realtà. Con un sisma di quelle proporzioni le criticità si sono rivelate nei centri storici del cratere – e questo poteva essere comprensibile data l’età degli edifici e le tipologie costruttive – e in alcune zone dove nel secondo dopoguerra, con uno sviluppo edilizio poco attento alla natura del terreno, si è edificato laddove per secoli si era evitato.

Quanto è stata importante la solidarietà nella ricostruzione?
La solidarietà nell’emergenza post-terremoto è stata straordinaria. L’Italia ha mostrato il volto più bello e concreto, una prova che ha commosso il mondo. Il volontariato è un patrimonio umano eccezionale del nostro Paese, che nel campo della Protezione Civile è nelle posizioni di vertice nel mondo. Come pure è stata straordinaria la prova di generosità offerta dagli italiani e dalle nostre comunità all’estero. Il loro contributo nella ricostruzione della città è abbastanza significativo, sebbene la spesa per la ricostruzione approntata dallo Stato sia ingente proprio per la natura artistica dell’Aquila, che dentro le mura ha censite e vincolate oltre duemila emergenze artistiche e architettoniche, è il sesto in Italia tra i centri storici più estesi e artisticamente rilevanti.

Di cosa c’è ancora bisogno?
La ricostruzione privata sta andando avanti abbastanza bene, anche come speditezza, meno quella pubblica per le note pastoie burocratiche. E’ più avanzata nel capoluogo, meno nelle 64 frazioni dell’Aquila, uno dei comuni più vasti d’Italia. Complessivamente, tra luci e ombre, si può giudicare soddisfacente, anche per la qualità della ricostruzione che sta restituendo una città più bella di prima e soprattutto tra le città più sicure riguardo al rischio sismico, per le tecniche innovative che sono messe in campo, in questo che è il cantiere più grande d’Europa. Ora c’è bisogno che all’esaurimento dei fondi stanziati fino a tutto il 2019 il Governo sia previdente e sollecito a finanziare l’ulteriore fase della ricostruzione. L’attenzione che da tutto il mondo segue la rinascita della città è l’ulteriore elemento di garanzia per il futuro dell’Aquila, diventata città universale dopo il terremoto del 2009, per essere stata scoperta nella sua dimensione artistica e per l’affetto e la vicinanza riservatale dopo la tragedia.

La raccolta non è solo un inventario di paesi fisici ma una ricerca appassionata e curiosa di luoghi mentali, culturali e spirituali che offre riflessioni nuove sull’identità di un Paese che attraversa una grave crisi identitaria messa in discussione non tanto dall’incontro con le altre culture ma dall’omologazione dominante. Una chiave di comprensione psicologica e geografica delle ragioni profonde dell’attuale degrado paesaggistico e sociale.
La valorizzazione della bellezza dei nostri territori può bastare per costruire finalmente un senso civile negli italiani?
La valorizzazione del nostro patrimonio culturale, storico e artistico è una precondizione necessaria, come pure la cura e la protezione del paesaggio italiano, auspicando che negli italiani finalmente cresca la consapevolezza che tale patrimonio – due terzi dell’intero pianeta – è la nostra più grande risorsa per il presente e per il futuro, il cespite più affidabile dello sviluppo del Paese. Il senso civico degli italiani è un esercizio che si affina in concreto, con la cultura e con la coscienza di quanta ricchezza dispone l’Italia.

Da quest’ottica il volume diventa un documento letterario, antropologico e giornalistico, «scrupoloso come un censimento, fedele come una fotografia e circostanziato come un atto d’accusa». La scrittura sottile, disincantata e, allo stesso, partecipe di Palmerini ci avvicina a universo di emozioni nei confronti del nostro paese che spesso dimentichiamo, mentre dal di fuori tutto è più chiaro.
Quale è il vero rapporto con il nostro paese dei connazionali che vivono all’estero? C’è nostalgia o rancore per essere dovuti andar via?
Fuori dall’Italia c’è un’altra Italia persino più numerosa di quella dentro i confini. Sono 80 milioni gli italiani delle varie generazioni dell’emigrazione nel mondo. Ed amano l’Italia più di quanto l’amiamo noi. Forse solo nella prima generazione alla nostalgia per la terra d’origine ha fatto da contrappunto un qualche rancore verso il proprio Paese, che spesso è stato distratto verso i propri figli emigrati.

Cosa chiedono all’Italia?
I nostri connazionali nel mondo non sono più quelli partiti con la valigia di cartone, descritti negli stereotipi. Hanno sofferto pregiudizi e stigmi, nella prima generazione dell’emigrazione. Poi i loro figli si sono man mano integrati nelle società d’accoglienza, si sono fatti apprezzare, hanno ora la stima e il prestigio che si sono meritati in ogni settore di attività. Sono nelle università, nelle imprese, nel mondo dell’arte, dell’economia, della ricerca, nelle Istituzioni e nei Governi, talvolta con ruoli di preminenza. Chiedono di essere conosciuti e riconosciuti, perché sovente le classi dirigenti in Italia non hanno piena consapevolezza e conoscenza del valore delle nostre comunità all’estero. La storia della nostra emigrazione è estranea e non entra ancora nella grande Storia d’Italia. Spesso la conoscenza del fenomeno migratorio si limita alla patina, con tutti di equivoci paternalistici che non accompagnano invece un forte investimento del Paese sulle comunità dei connazionali all’estero, i più motivati ambasciatori dell’italianità nel mondo.

Hai affermato in un’intervista che all’estero amano il nostro stile di vita, in concreto cosa piace?
All’estero ammirano l’Italia per le sue bellezze e per il paesaggio, per l’arte e le tradizioni, per i sapori della sua gastronomia, per le meraviglie delle città e dei borghi, per la creatività e il gusto italiano. Amano persino la lingua italiana che, sebbene con scarsi investimenti e aiuti, è la quarta lingua più studiata nel mondo. E poi amano il nostro stile di vita – l’italian way of life – così legato alla comunicatività, al piacere e alla simpatia che gli italiani sanno spesso esprimere.

I nostri valori tradizionali potranno resistere alla globalizzazione?
Le piccole città e i centri minori della provincia italiana, spesso autentici scrigni d’arte e di tradizioni originali che affondano radici nella nostra storia millenaria, sono luoghi di autentica preservazione dai fenomeni di spersonalizzazione culturale e massificazione. Nella nostra provincia si può davvero coltivare il valore dell’eccezionale ricchezza del costume e delle abitudini ataviche della gente italiana, tessere d’un mosaico che in fondo esprime il gusto di vivere all’ “italiana”. Appunto l’italian life style che tanto intriga all’estero, dove l’anonimato urbano e un urbanesimo senza radici non coltiva un’identità, quella invece che l’Italia detiene grazie all’eccezionale fioritura di culture e tradizioni locali nel caleidoscopio di borghi e città dove si vive a dimensione umana.

L’operazione narrativa di Goffredo Palmerini è davvero una passeggiata durante la quale si conoscono bene i borghi e le città, se ne respira l’aria, e quasi sembra di parlare con chi ci vive, ma la responsabilità del comunicatore è vigile, profonda senza sentimentalismi, solo l’energia della terra.

Fiorella Franchini – ildenaro.it


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