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29 giugno 2020 @ 17:53 Categoria: Politica

[1]L’Aquila – Riceviamo: ” “E’ ormai chiaro il problema politico-amministrativo rispetto alle proposte di variazione di destinazione d’uso fatte “a chiamata” da parte di chi, legittimamente, di volta in volta, ritiene di dover veicolare una proposta di investimento sul nostro territorio comunale”- denunciano in una nota congiunta i Consiglieri de ”Il Passo Possibile” Elia Serpetti, Emanuela Iorio, Antonio Nardantonio e Americo Di Benedetto.
Ancora una volta risulta difficile individuare una chiave di lettura razionale in capo ai protagonisti del governo cittadino, vista la sequela di atti plurimi, paradossalmente contrapposti, sebbene promananti dallo stesso soggetto che li produce (il Governo cittadino, per l’appunto!).
In buona sostanza, il Sindaco Biondi ha bocciato il suo Assessore all’Urbanistica Ferella perchè non ha fatto trovare in Consiglio Comunale i voti del suo gruppo d’appartenenza, e, ancor meno sé stesso in quanto ha optato per un’astratta astensione; Fratelli d’Italia ha bocciato il Sindaco perché il Sindaco stesso aveva votato favorevolmente in Giunta la delibera; quindi, la maggioranza tutta si autoboccia perché ha votato in Consiglio Comunale contro il suo parere favorevole espresso in precedenza in Commissione Territorio, per materia competente (!).
Sostanzialmente tutti bocciano tutti e le discussioni politiche prevalgono sul senso di responsabilità verso la città.
Noi riteniamo che le legittime richieste di chi sul nostro territorio fa impresa non sembrano coincidere con una visione complessiva e con una programmazione strategica, fattori che non possono prescindere da una attenta e partecipata valutazione delle esigenze commerciali di una realtà come la nostra che, anche in questo ambito, sta cercando faticosamente la definitiva rinascita.
Non può, in effetti, il tutto limitarsi sempre ad un filtrato “interesse generale”, etichetta semplicistica che, in totale assenza di una visione prospettica sulla pianificazione cittadina, sembrerebbe ogni volta poter concedere “al cenno” la possibilità di insediamenti e modifiche urbanistiche, riportando sempre ed esclusivamente a giustificazione dello stesso interesse generale, la seguente dicitura: “alla richiesta inoltrata… può pertanto essere riconosciuto il carattere di interesse generale, come definito dalla norma (c. 6 art. 31 delle N.T.A.) in quanto tendente ad operare su un patrimonio edilizio destinato ad ospitare attività commerciali; organismi da annoverare tra quelle produttive costituenti la struttura portante di ogni comunità (cfr DGC N.59/19 e DGC N.268/19). E’ alquanto bizzarro che l’interesse generale sia identico, così come letteralmente riportato, nonostante sia posto a base di atti che, per definizione, hanno una loro propria differenza e autonomia.
Un’Amministrazione comunale non può permettersi di generare contrapposizioni fra categorie produttive locali e ancor meno fra differenti realtà urbanizzate (centro storico – periferia): in un’ottica di vera condivisione dovrebbe, invece, valutare e contemperare un progetto unitario di tutela di tutti i soggetti in causa e di tutte le realtà territoriali.
Il progetto urbano in deroga può essere fatto su parti di città dove insiste l’esigenza di risolvere i problemi rendendo coerenti i valori e le opportunità sotto l’egida della più generale struttura urbana cittadina.
Un territorio va protetto in tutti i suoi aspetti urbanistici ed economici, favorendo l’attività privata senza svilire l’azione di ricucitura fra periferia e centro storico in funzione delle compatibilità degli interventi nelle aree oggetto di analisi.
La tecnica urbanistica impone di connettere adeguatamente tutte le istanze di progettualità (proposte di variante) con la città esistente, considerando, però, la “città pubblica” priorità da definire ed elemento irrinunciabile di un progetto di sviluppo.
La Giunta Comunale, men che meno il Consiglio, non può limitarsi ad attestare genericamente l’esistenza di un interesse pubblico di ogni singola proposta: sarebbe necessario, piuttosto, approvare un documento generale di indirizzo, con indicazioni, criteri e obiettivi, a cui tutte le istanze (pervenute e da pervenire) dovrebbero assolutamente riferirsi. E’ solo dal confronto tra il documento d’indirizzo e le plurime proposte di variante ( prese, ovviamente, nel loro complesso) che si sarà in grado di determinare o meno l’esistenza del molte volte richiamato interesse pubblico.
In questo modo si darebbe a tale interesse una risposta pratica, tecnicamente e scientificamente provata, e non un semplice atto enunciativo, mera dichiarazione d’intenti.
Quanto riportato concretizzerebbe una valida azione di variante, libera da retropensieri riconducibili all’utilità del singolo ma contestualizzata rispetto alle legittime esigenze di sviluppo e investimento senza precludere, però, una visione d’insieme di città nel pieno rispetto dei limiti delle destinazioni urbanistiche e dei relativi parametri dimensionali ad oggi normati.


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