La ricostruzione ha fatto riemergere il “Forno dei Carbonari”


Paganica – di Raffaele Alloggia - Nel 1821 in seguito ai fermenti risorgimentali, a Paganica fu organizzata la prima “Società Segreta Carbonara” nel circondario e nel 1848 divenne una corposa realtà, con una vivace e prosperosa “vendita” con 284 iscritti. Al suo interno si costituì il “Comitato della Morte” che si proponeva la diffusione nella popolazione del malcontento verso il governo del regime borbonico. Animatore dei Carbonari locali fu l’avvocato Giovanni Antonelli sostituto Cancelliere del Giudicato Regio di Paganica.
Le riunione segrete avvenivano o nelle case dei Tarquini o degli Iovenitti, o nel forno di Visca Camillo, originario di San Demetrio ma sposato e residente a Paganica in Via Salita del Castello.

Nel 1848 fu intentato un regolare processo a carico di un gruppo di 25 Carbonari quasi tutti paganicchesi, che vide coinvolti tra accusatori e accusati più di 400 persone.

I “Fatti di Paganica” è il nome con cui è catalogato il fondo presso L’Archivio di Stato di L’Aquila, esso documenta il processo degli avvenimenti scaturiti a seguito dell’abrogazione della Costituzione da Ferdinando II Re del Regno delle due Sicilie. Il clima esacerbato che esisteva tra Carbonari e i fedeli al regime borbonico, produsse una serie di denunce e arresti.
Tra le opposte fazioni si verificarono continue schermaglie verbali fatte di frasi di inneggiamento, insulti, minacce, sputi ed assalti notturni nelle case dei fedeli al Re che venivano fatte oggetto di fitti lanci di pietre. Negli scontri fisici l’attenzione dei rivoluzionari si concentrava soprattutto sui nastri rossi che i realisti usavano apporre sulle pagliette (i più abbienti usavano invece una coccarda rossa sulla giacca o il cappello), espressione visibile della fede politica; i nastri venivano lacerati e strappati dagli assalitori, i più spregiudicati dei quali si ornavano invece con nastri tricolori, una vera e propria rivoluzione!
Giovanni Antonelli e Ascanio Vicentini furono accusati da Carmine di Genova, anche di aver sputato e imbrattato d’inchiostro il mezzo busto di gesso il quale ritraeva il Re, che si trovava nell’ufficio di Antonelli e successivamente di averlo buttato a terra e ridotto a pezzi. Per questa ed altre accuse fu condannato a 9 anni di pena nelle Carceri Borboniche di Santo Stefano nell’Isola di Ventotene insieme ad altri ma con condanne meno pesanti. Rodrigo De Paulis fu l’unico paganichese che non riuscì a tornare perché vi morì dopo lunghi stenti.

In un altro processo, Domenico Giusti accusò Antonelli e i suoi cognati Vito e Angelo Carrozzi, dichiarando davanti al Giudice che erano stati ascoltati più volte ad Assergi, gridare viva la Repubblica e dicevano di doversi uccidere tutti i realisti, mostrandosi estremamente rivoluzionari.

Nell’aprile del 1848, un altro capo d’accusa per i cognati temperesi, Ascanio Vicentini e Isidoro Strina che aiutati da cinque carbonari, disarmarono tre gendarmi borbonici nella caserma della Gendarmeria Reale di Paganica impossessandosi di tre carabine, tre baionette e 68 cartucce. Gli stessi disarmatori al termine dell’operazione condussero i gendarmi nel forno di Visca.

Le risultanze del processo dei cosiddetti “Fatti di Paganica” del 48, che si conclusero nel 1851, portarono alla condanna di Giovanni Antonelli, Rodrigo De Paolis, Gioacchino Volpe, Isaia Tarquini, Camillo Visca, Ascanio Vicentini, Isidoro Strina, Domenico Iovenitti, questi già detenuti al momento del processo, mentre fu inviato un mandato di arresto a carico di Nicola Visca figlio di Camillo, Raffaele de Vecchis, Giuseppe Perazza, Tommaso Facchinei, Giocondo Lalli, Giovanni Persichetti, Giuseppe di Fabio, Natale Evangelista e Giovanni Petricca. Per tutti gli altri fu disposto un supplemento di istruttoria.

In memoria di questa storia, per alcuni di loro a Paganica sono state intitolate strade e targhe apposte alle loro abitazioni.

Durante la ricostruzione del centro storico di Paganica a seguito del terremoto del 2009, nella casa dei Visca, i cui lavori sono ancora in corso da parte della ditta Silva Costruzioni di Silva Cesare s.a.s., nell’abbattere una parete è ricomparso l’antico forno che verosimilmente fu murato proprio in quegli anni forse su ordine borbonico. Il forno, dice il responsabile della ditta, ha lavorato molto, si nota dall’usura dei mattoni e il nero del fumo tipico dei forni, è scomparso proprio in virtù dell’essere stato privo di aria per tanto tempo.

I proprietari ereditari dello stabile, Antonio e Leonello Visca, non conoscendo questa storia, nel leggere la mia nota “Attilio Pieri l’ultimo “porchettaro” della secolare dinastia di famiglia”, pubblicato dalla stampa locale il primo di novembre scorso, mi hanno contattato dicendomi che in famiglia non conoscevano neanche l’esistenza del forno, in quanto sia il padre Giustino (Custulinu) classe 1911, che il nonno non ne avevano mai parlato.

Le persone anziane però, di questa storia qualcosa anche se inconsciamente, non l’hanno dimentica, perché nella dialettica paganichese dall’epoca divenne un modo di dire: quatrà, non faceteme …….. “arrabbià”, sennò faccio u quarantotto! (in riferimento ai “Fatti di Paganica” del 1848)

Il terremoto del 2009, ha restituito dopo quasi due secoli questo forno, non solo ai legittimi proprietari, ma anche ai cittadini di Paganica e del circondario in quanto è un pezzo di storia risorgimentale della nostra comunità; essa è una piccola tessera di storia che fa parte di quel mosaico della grande storia, che 17 marzo del 1861 sancì la nascita del Regno d’Italia!


17 Novembre 2020

Categoria : Storia & Cultura
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