C’è bisogno di aria fresca e pulita!


L’Aquila – (di Antonio Di Giandomenico – Cittadino senza città)
(PIER PAOLO PASOLINI)
E cosa sei…
TERRA D’INFANTI, AFFAMATA, CORROTTA,
Governanti impiegati di agrari
Prefetti codini
Avvocatucci unti di brillantina e i piedi sporchi,
Funzionari liberali carogne come gli zii bigotti;
Una caserma, un seminario, una spiaggia libera,
Un casino.
Milioni di piccoli borghesi,
Come milioni di porci,pascolano spingendosi
Sotto gli illesi palazzotti,
Tra case coloniali
Scrostate ormai come chiese.
PROPRIO PERCHE’ TU SEI ESISTITA,
Ora non esisti;
Proprio perché fosti cosciente,
Sei incosciente;
E solo perché sei cattolica,
Non puoi pensare
fare, che la situazione è questa e che è immodificabile. Che il tuo male è tutto il male
Colpa di ogni male.
SPROFONDA
In questo tuo bel mare,
LIBERA IL MONDO!

Povera Italia! Così la leggeva Pasolini, così dobbiamo leggerla noi, se possibile con occhi ancora più tristi e sguardo più vuoto?
Ci rendiamo davvero conto di quale livello di marcescenza ha raggiunto il nostro Paese, quale livello di corruzione, di illegalità diffuso, di anomia imperante, di regole, quelle regole essenza e testimonianza di democrazia, assoggettate al volere e agli interessi di caste, di cricche, di poteri più o meno occulti, sicuramente illegittimi e illegali?
No, non mi scandalizza più di tanto che imperi la corruzione, né la cricca, né che il livello di comunicazione dei media presenti queste degenerazioni del Paese come segno della responsabilità di giudici rossi o giornalisti pregiudizialmente anti….; né può riguardami la parvenza di battaglia politica che quotidianamente viene messa in scena al solo scopo di catturare attenzione ed interviste.
Quello che mi offre motivo di riflessione è il fatto che a fronte di queste vicende, non vedo sintomi che testimonino un moto di indignazione e reazione collettiva, un moto popolare che si ponga l’obiettivo di fare tutto il possibile per fare piazza pulita di tutto questo, che spazzi via, forconi alla mano, i mercanti dal tempio, che permetta di aprire finalmente le finestre per immettere aria fresca e pulita.
Leggo, al contrario, una assuefazione collettiva, popolare, come di chi, rassegnato, pensa ormai che non ci sia più nulla da fare, che non ci sia una reale alternativa, nessuna possibile ricostruzione morale e civile di un paese ormai condannato alla putrefazione e consegnato inesorabilmente al malaffare.
Eppure, non posso rassegnarmi: ho la piena consapevolezza dello stato attuale delle cose, che non nasce oggi, ma che risulta il prodotto di almeno venti anni di incubazione, passato per la distruzione di un sistema politico che aveva sicuramente fatto il suo tempo, ma al quale non si sono sostituite altre forme e altri modi della rappresentanza politica. Nessuna nostalgia, pura constatazione!
Al contrario, nel processo di distruzione del vecchio sistema dei partiti, ha preso il sopravvento un ceto politico fatto di mestieranti, le terze e quarte file dei partiti tradizionali, che avevano imparato perfettamente come conquistare i partiti stessi (con i collaudati sistemi delle tessere!) e renderli strumenti al servizio dei loro interessi elettorali.
L’Italia è l’unico paese al mondo dove una intera squadra di “professionisti” della politica, si è impossessata dei partiti e, per circa un ventennio, non ha mollato di un centimetro, riproponendosi ad ogni appuntamento, di fatto impedendo la nascita del nuovo. Ceto politico, non classe dirigente. A loro non interessa se si vince o si perde, privi come sono di progetti e di programmi . L’importante, per loro, è occupare postazioni istituzionali.

Questo è successo in Italia, e questo è successo nei territori, Abruzzo in testa.
Povera regione nostra! Nel 1993 fu arrestata la prima Giunta regionale (la giunta Salini), per lo scandalo dei fondi europei; nel 2008 fu arrestato Del Turco, per lo scandalo della sanità privata; nel mezzo di queste due vicende, sono finiti per via giudiziaria una infinità di sindaci, a cominciare da quello di Pescara, D’Alfonso, una serie di comuni, amministratori di enti, da quelli di gestione dell’acqua, per finire alle gestioni dei rifiuti; oggi la corruzione e la mafia mette a nudo vicende che colpiscono la giunta regionale guidata da Chiodi, e l’assessore all’ambiente e alla protezione civile, una che ha preso una marea di voti alle elezioni passate.
Questa regione, che con il terremoto del 2009 ha patito il più grave disastro degli ultimi 100 anni, se si fa eccezione della guerra, sta apparendo, e si scopre sempre di più, come un covo di malfattori.
E, a mio modesto parere, siamo ancora all’inizio!!
Lo ripeterò fino alla noia: in Abruzzo, nei territori, all’AQUILA, manca una vera classe dirigente.
Anziché lavorare e costruire il nuovo, nei territori si sono esaltate le vecchie forme di gestione, hanno vinto i satrapi – vecchi e nuovi – che già dominavano nei vecchi apparati.
Senza alcun controllo sulla qualità delle scelte che si andavano a compiere, senza limiti alle “scalate”.
Costa fatica, amici cari, avventurarsi verso frontiere sconosciute, in grado di superare le tradizionali visioni e contrapposizioni che hanno caratterizzato la vita politica del secolo passato, e individuare nuovi orizzonti, nuovi valori e ideali.
Il cittadino dell’Aquila e del suo territorio, travolto e piegato dal dramma individuale e da quanto successo alla città, avrebbe guardato con interesse la nascita di una nuova politica, moderna, in grado di dare risposte positive ai grandi quesiti posti dagli eventi, e contemporaneamente offrire risposte ai problemi della vita quotidiana.
Grandi e piccole questioni che si potevano e dovevano governare, senza anatemi e con scelte chiare, all’insegna della valorizzazione delle diversità di opinioni e di progetti, del confronto quotidiano, con scelte caratterizzanti l’identità e i valori di una nuova e moderna visione della politica, che vuole vivere e crescere tra la gente, tra i cittadini.
Quale altro potrebbe essere il compito di una nuova classe dirigente se non quello di comprendere e valutare a fondo il dramma della nostra città, senza rassegnarsi all’immobilismo?
Ben comprendo che scelte conseguenti si sarebbero dovute assumere TRE giorni dopo il 6 aprile 2009, attraverso l’adunata di tutti i cittadini nella pubblica piazza, in mezzo alle macerie della città, dove il sindaco avrebbe dovuto annunciare l’azzeramento della giunta comunale, e chiamare al governo della rinascita tutte le forze presenti in consiglio, con l’aggiunta di tre/quattro figure cittadine di spessore e cultura adeguati!
La domanda più ingenua che mi si rivolge, quando affermo questo è la seguente: ma sei sicuro che avrebbero accettato? Ritengo di poter rispondere affermativamente, ma in ogni caso il rifiuto lo avrebbero annunciato in piazza, non a me , quindi, ma ai nostri concittadini!
Ma così non è stato. Si è preferito indulgere alla prudenza, al tentennamento, al cerchiobottismo!
Si è scelto di alzare il tono della polemica elettorale, forse in vista delle rinviate elezioni provinciali, così condannando il cittadino a schierarsi pro o contro, a fare tifo, a dividersi tra i pro questo e i contro quell’altro, facendo del male, sì, DEL MALE, all’Aquila e al suo futuro.
Ho già affermato, in precedenti occasioni, che la mia impressione è che ci troviamo di fronte classi dirigenti sconfitte, sia a destra, sia a sinistra. Le scelte, o forse le non-scelte del dopo terremoto, mi confermano in questa analisi.
Le funzioni dirigenti si sono espresse ed insediate attraverso la ricerca di punti di equilibrio fra gruppi di potere, dei quali è espressione la giunta comunale, così come quella provinciale; mai hanno scelto di essere punti di incontro, di equilibrio fra le diverse tradizioni politiche, mai hanno offerto una prospettiva, un futuro.
Soprattutto mai si è scelto di selezionare dirigenti perché portatori e vincitori di battaglie politiche, alfieri di idee e progetti di rinnovamento. Ma a questo ci stanno pensando i nostri giovani e meno giovani in Piazza duomo, nella nostra tenda. Non so se enfatizzo all’eccesso quel luogo; so con certezza che il ceto politico- di cui ho fatto parte – attualmente al comando delle istituzioni, ha segnato, in Italia e in Abruzzo, e ancor di più nella gestione del post terremoto all’Aquila, un clamoroso fallimento: se non mi fossi spiegato bene FALLIMENTO!.
Devo ricordare a qualcuno com’era L’aquila prima del terremoto?, lo stato dell’economia, dell’occupazione, della coesione sociale?
Devo ricordare a qualcuno il mestiere fatto negli ultimi venti anni, i prestigiosi ruoli istituzionali ricoperti?
Nel migliore dei casi, abbiamo espresso dei leader senza leadership; nel peggiore ci siamo affidati a panzer elettorali, definiti da altri e più autorevolmente “cacicchi!”:
C’erano ricette, riferimenti, certezze? Penso proprio di no!
Per avviarsi, per fare il primo passo, sarebbe stato necessario un grande bagno di umiltà, per un percorso lungo, tortuoso e difficile, e del quale non era affatto scontato l’esito.
Il rispetto dei fatti, delle cose, delle persone, delle idee altrui, meno attaccamento ai propri stereotipi, ai luoghi comuni per decenni coltivati, agli antichi convincimenti mai riscontrati nella realtà
Per coloro che hanno creduto nella prospettiva di una grande unità regionale e cittadina, per ridare vita e futuro alla città,è amara condizione dover constatare che il sogno si è esaurito in un disperato tentativo di conservare un modo di fare politica obsoleto.
Tanti dei nostri concittadini, rifiutando il voto, hanno deciso di dichiarare apertamente di essere stanchi delle risse e delle faziosità di cui è infarcito l’agire politico. Sono i cittadini preoccupati per il destino dell’Aquila e per quello delle generazioni più giovani, che avrebbero accolto con attenzione e sensibilità un messaggio di realismo, di serietà, di sano sentimento di futuro.
Ho già detto in assemblea, e ripeto, che una maniera diversa di porsi rispetto al grande tema della rinascita della città e del territorio poteva essere il mezzo per ridare forza alla politica che in Italia è debole, così come debolissima è in Abruzzo e all’Aquila in particolare, e a produrre idee e progetti e una nuova classe dirigente, capace di pensare e di liberarsi delle scorie di un’ideologismo che guarda ad un mondo che pure è esistito, ma che non c’è più!
La speranza è tutta racchiusa nella tenda di Piazza, dove campeggia la scritta che è pure un programma, un obiettivo, un impegno di vita!
E’ lì che sta nascendo, e nascerà la classe dirigente nuova del nostro territorio, che sia in grado di costruire progetto e obiettivi per avviare un nuovo corso, per adeguarlo ad una moderna cultura liberale, che in Italia non è eredità né della sinistra post-comunista, né del centro post-democristiano, ma che è tutta e per intero da inventare.
Si tratta dei giovani che vivono e soffrono lo stato della loro città, che spendono le loro emozioni e il loro cuore, oltre che lo loro intelligenza e cultura, per pensare e costruire un futuro per la città e per le generazioni che si affacciano oggi alla vita!
Sarà vincente, non può che essere così: sarà dura, difficile, lunga, piena di tortuosità sarà la strada; ma la nostra gente già nel passato ha dimostrato il proprio attaccamento alla città alla sua storia, alla sua vita.
Ce la faremo, supereremo tutto, spazzeremo via i mistificatori vecchi e nuovi; il nostro credo sarà l’unità degli aquilani, senza divisioni artificiose e senza rinunciare alle proprie appartenenze e identità politiche, ma tutti uniti nel comune obiettivo della ricostruzione dell’Aquila, con la nostra bandiera nera e verde!
Ce la faremo: la nostra città porta il nome del RE dei rapaci, e noi per correre dietro alle Aquile abbiamo dovuto, spesso di corsa e per la direttissima, salire in cima al Gran Sasso.
E quando si sale in montagna, si tiene sempre la testa rivolta in alto!
Soprattutto quando si spinge una CARRIOLA!!!!!!!

Antonio Di Giandomenico
Cittadino senza città


02 Agosto 2010

Categoria : Dai Lettori
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