L’Aquila terremotata nel cuore e le “pietre preziose” nel frattempo scomparse


In Abruzzo.com ha chiesto allo studioso Antonio Gasbarrini un intervento a convalida di ciò che, come sempre senza alcuna reazione da alcuna parte o istituzione “culturale” o locale, non sappiamo se mute per scelta, distratte, impotenti o ignoranti, andiamo scrivendo da mesi anche con ampia documentazione: le pietre a L’Aquila non “cantano”, come afferma una manifestazione culturale estiva, ma piangono e spariscono. Nessuno se ne cura minimamente, eppure sono furti e gravissimi attentati alla nostra storia e cultura. Di recente, Pierluigi Tancredi ha lasciato il Comune forse anche per questo.

L’Aquila (di ANTONIO GASBARRINI) – Subito dopo l’indomani del sisma, avevo richiamato l’attenzione dei miei concittadini e dell’opinione pubblica più in generale – con una serie di articoli pubblicati sul web – sul reale rischio della predazione selvaggia delle macerie di pregio (capitelli, colonne, frontoni, architravi, bifore, stemmi gentilizi, epigrafi, mattoni e conci d’epoca ecc.), completamente abbandonate a se stesse in ogni dove della città distrutta. Davanti alle malridotte facciate delle chiese, alla base di monumenti come il Torrione, sull’ex ponte levatoio del Castello Cinquecentesco, nei vicoli e vicoletti costeggiati da palazzi e palazzetti gentilizi densi di memoria e di storia sbriciolati in quella maledettissima manciata di sobbalzanti secondi.
Trattate, purtroppo fino ad oggi, come inodori cumuli d’immondizia da parte della Protezione Civile in primis e delle altre autorità statali e locali poi, preposte per legge alla tutela, salvaguardia e recupero dei beni culturali. “Immondizia” che ha fatto subito gola a ladri comuni, costruttori e antiquari, dato l‘alto valore di mercato di ogni singolo frammento architettonico così rovinosamente precipitato, ma finemente trattato dai maestri scalpellini affluiti nel corso dei secoli (prevalentemente dalla Lombardia), per mettere su, pietra dopo pietra, una delle più belle città d’Italia e d’Europa.
Né il pericolo delle facilissime ruberie è stato da meno negli altri borghi e mini-centri storici da cui è stata sempre attorniata la città federiciana, mini-centri anch’essi spappolati in un battibaleno. È di alcuni giorni fa il grido di allarme lanciato agli organi di stampa da un cittadino di Tempera: “Le pietre, di notte, stanno scomparendo una dietro l’altra”.
Già! Allorché sarà riscritta una “storia veridica” delle cosiddette zone rosse, sino ad oggi inibite ai cittadini proprietari o affittuari delle case precipitosamente abbandonate in fretta e furia la notte del 6 aprile, ma a portata di mano di ladri d’ogni risma (anche in doppio petto), si capirà qualcosa in più degli irreparabili errori commessi con la cervellotica evacuazione massiva di un’intera comunità di oltre 70.000 abitanti. Malamente allontanati dalle sacrali mura come cani rognosi, dispersi tra tendopoli ed alberghi della costa, per essere poi anonimamente “riassemblati” in parte con gli aggressivi inurbamenti cimiteriali delle “casette” e dei “mappetti” artificialmente innestati come funghi velenosi in una “fu conca aquilana” densa di lussureggianti verdi ingrigiti di botto.
Quanto prima, comunque, si dovrà pur mettere mano alla ricostruzione pesante nel centro storico del capoluogo abruzzese e negli altri petrosi paesini del suo circondario. Ci si accorgerà solo allora come una delle più gettonate parole d’ordine lanciate dai più sensibili urbanisti italiani quali Nimis e Cervellati, sarà inattuabile. Infatti il loro auspicio del “dov’era, com’era” è stato del tutto vanificato dalla sciatteria, incompetenza, improvvisazione, con cui tutti gli attori e le comparse “partitiche” ed istituzionali del grande circo mediatico scatenatosi sulle pompeiane rovine aquilane, hanno sostituito rassicuranti immagini di facciata alle invasive macerie tuttora imbevute di polvere e sangue.
Va dato atto al criminalizzato “Popolo delle carriole” (mi onoro di farne parte sin dal primo momento della sue “illegali” incursioni nella zona rossa) di aver documentato con fotografie – scattate nei quartieri più disastrati agli inizi dello scorso mese di maggio (oltre un anno dal sisma, cioè) – il caotico stato di abbandono delle miglia e migliaia di “pietre preziose” alla facilissima portata di qualsivoglia malintenzionato. “Pietre preziose”, tra l’altro, spostate molte volte a casaccio da un posto all’altro dalle ditte impegnate nel lavoro di rimozione delle macerie, demolizione o puntellamento, e che, invece, andavano subito fotografe e classificate una ad una, per poi essere ricoverate in idonei depositi.
A quanto ne so, per averlo nuovamente constato di persona accedendo recentemente nei pressi della Chiesa dei Gesuiti, di Via Sassa, di Piazza S. Pietro e via dicendo, non si è mossa foglia. E tutto ciò, nonostante l’esposto riguardante la “Salvaguardia, recupero e tutela delle pietre monumentali e storiche dell’Aquila, delle frazioni e dei comuni viciniori”, inviato al Procuratore della Repubblica dell’Aquila dall’assemblea dei cittadini ed approvato all’unanimità il 5 maggio 2010 presso il presidio permanente in Piazza Duomo. Eccone uno stralcio significativo: “I sottoscritti ritengono pertanto che solo un’analitica quanto tempestiva catalogazione e messa in sicurezza dei reperti di valore e delle altre pietre secolari abbattute dal terremoto e dalle demolizioni in corso, possano garantire la futura ricostruzione, mediante la tecnica della cosiddetta anastilosi (pietra su pietra, cioè), di Chiese, Palazzi ed altri monumenti. Questa denuncia scaturisce dal fatto che le omissioni evidenziate sono un vero e proprio danno morale e patrimoniale non solo per la comunità aquilana, ma anche per quelle italiane ed europee. Circa il danno oggettivo causato all’intera città ed ai proprietari pubblici e privati di beni di pregio soggetti a tutela da parte dello Stato, è sufficiente rifarsi alla previsione giuridica contenuta nel D.L. 22/1/2004 n. 42 ‘Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’art. 10 della legge 6/7/2002 n. 137’. Il depauperamento e la privazione delle caratteristiche architettoniche di tali immobili e delle altre emergenze civili e religiose a causa delle omissioni, costituisce pertanto, a parere dei sottoscritti, azione perseguibile nei termini di legge ”.
Poter rivedere tra qualche anno L’Aquila “com’era” avrà molto probabilmente più l’evanescente consistenza di un sogno che il rinnovato impatto emozionale con quelle Chiese, Piazze, Fontane, Palazzi, Monumenti di una stupefacente città-museo a cielo aperto sinora offensivamente maltrattata oltre ogni decenza.
Se avrete la fortuna-sfortuna d’inoltrarvi tra le macerie della silente città fantasma durante il coprifuoco notturno, aprite bene gli occhi e tendete bene le orecchie: non vi sarà difficile scorgere i guizzi biancastri ed udire i lancinanti stridori di quelle “pietre preziose” emigrate per sempre.

P. S. Il mio servizio fotografico proposto consente di verificare, attraverso il confronto diacronico delle immagini, la situazione di stallo (povere, ammutolite campane della Chiesa di S. Pietro!), il caotico ammasso delle “pietre preziose” e, perché no, anche l’ “evaporazione” delle stesse. La foto dei reperti ammucchiati nella piazza antistante la Chiesa dei Gesuiti è stata scattata, in piena notte, lo scorso fine luglio.
(Nelle foto di Gasbarrini: immagine notturna di piazza Gesuiti, S.Vito prima e dopo qualche tempo – La campana di San Piertro abbandonata da 17 mesi: suonerà mai più? – Il leone sulla scalinata di DìS.Pietro da mesi e mesi – Altre foto: le condizioni commoventi di S.Pietro)


20 Agosto 2010

Categoria : Storia & Cultura
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