Il piano strategico, ma che è?


(di Giampaolo Ceci) – “TUTTO E’ FACILE PER CHI LO SA FARE” – Ci sono questioni che sembrano complicate e difficili da risolvere. Paroloni che le fanno sembrare riservate a grandi esperti e menti straordinarie. Invece poi, a ben vedere, sono questioni ordinarie che tutti noi affrontiamo quotidianamente senza neppure accorgercene.
Il piano strategico è una di queste. Cosa si intende con questa parolona? semplicemente il cercare di capire quali siano le vocazioni naturali di una persona o un territorio e pianificare il modo di assecondane lo sviluppo perché diventino delle eccellenze.
Difficile? non mi pare, anche se dovrebbe indurmi alla prudenza una frase che spesso citava un mio professore di strutture. “Tutto è facile per chi lo sa fare”.
In effetti, ognuno di noi imposta continuamente, senza rendersene conto, uno o più piani strategici.
Dobbiamo scegliere quale scuola indirizzare la educazione di nostro figlio? cosa facciamo? cerchiamo di valutare le sue attitudini. Se capiamo che nostro figlio non é portato per lo studio, ma mostra interesse per alcuni specifici mestieri lo mandiamo “a bottega” perché approfondisca le sue naturali predisposizioni. Se suona bene uno strumento, cercheremo di assecondare le sua passione. Se invece gioca bene al calcio lo iscriveremo tra i giovani di una buona squadra, senza però fargli lasciare la scuola… non si sa mai!
Più facile che nostro figlio riesca facendo ciò per cui è portato, che imporgli di fare ciò che non è nel suo DNA.
In un territorio la questione si pone nello stesso modo, cambia solo la scala dei problemi.
Quali le vocazioni naturali delle popolazioni che abitano il cratere? cosa hanno fatto fino ad oggi per sopravvivere? quali le risorse naturali o paesaggistiche del territorio che potrebbero essere meglio sfruttate per creare condizioni di maggior benessere per le popolazioni residenti?
Ecco, la prima questione: conoscere il contesto socio economico in cui si deve agire. Non sempre i residenti sono i migliori osservatori delle potenzialità dei territori che abitano. Anzi spesso sono fuorviati dalla consuetudine e dalle abitudini che non fa vedere loro le peculiarità positive o negative che caratterizzano uomini e luoghi.
Se i territori sono abitati da persone cordiali aperte alla accoglienza, allora si potrebbe pensare di potenziare il turismo. Si mangia bene? ci sono prodotti tipici? c’é buon vino, ci sono allevamenti? sul territorio ci sono motivi per vedere cose interessanti in ambito naturalistico o storico artistico? si può sciare o fare attività sportiva? In questi casi si potenzi il turismo, o le singole filiere in un quadro di interventi coordinato.
Si facciano nuove strade adatte al territorio, si mettano in rete le attività, perché l’una tiri l’altra, si organizzino corsi di formazione perche i residenti imparino lingue e migliorino la cucina locale, si promuovano sagre, manifestazioni sportive ecc
Le popolazioni invece fanno gli allevatori o gli agricoltori? ben si indirizzino verso questi settori produttivi gli incentivi pubblici ed europei, perché se queste attività ancora sopravvivono, nonostante tutto, certamente sono guidate da persone competenti e capaci che vanno aiutate a crescere.
Ci sono vocazioni artigianali? non le si lascino morire e si sostenga con contributi pubblici o risorse interne le eccellenze potenziali ancora inespresse perché si possano consolidare se non addirittura espandere.
Il sisma fornisce una opportunità che non deve andare persa.
La zona non ha proprio alcuna risorsa? Regaliamolo appezzamenti di terra agli imprenditori perché ci insedino le loro attività produttive e addirittura inventiamoci incentivi perché vengano ad occuparle.
E’ proprio come si fa in piccolo con nostro figlio. Si cercano le attitudini perché possano esprimersi compiutamente e diventare ricchezza e soddisfazione per lui e la sua famiglia.
Certo che l’analisi non é priva di rischi. Si può anche imporre al giovane, promettente musicista, di studiare legge, creandone un infelice per tutta la vita, o non decidere nulla lasciando che le cose vadano senza governo, o peggio, imporre dall’alto mega cattedrali nel deserto avulse dei contesti culturali locali, ma questo dipende dalla capacità elaborativa del papà che ciascuno ha.
Il piano strategico contiene le scelte per il futuro del territorio, quindi deve essere un documento partecipato e largamente condiviso con le parti sociali ed economiche rappresentative sul territorio.
Solo dopo la definizione del piano si dovrebbe procedere alla definizione dei piani di ricostruzione o della viabilità o del piano regolatore in quanto le scelte che contengono devono essere coerenti col piano strategico, anzi ne sono importanti componenti attuative.
Non deve accadere il contrario a meno che non si voglia creare le premesse per storture nel processo ed inutili perdite di tempo. I tempi di attuazione degli strumenti urbanistici non consentono la successione temporale del processo? Allora ci sbatta perché il Parlamento faccia subito una legge ad hoc per cambiarli e, ……visto che si siamo, anche per ridurli!


30 Settembre 2012

Categoria : Cultura
del.icio.us    Facebook    Google Bookmark    Linkedin    Segnalo    Sphinn    Technorati    Wikio    Twitter    MySpace    Live    Stampa Articolo    Invia Articolo   




Non c'è ancora nessun commento.

Lascia un commento

Utente

Articoli Correlati

    Nessun articolo correlato.