TSA, “Le invisibili” con la Crippa


Le InvisibileL’Aquila – Periodo felice per l’attività di produzione del Teatro Stabile che debutta nel Teatro Comunale il 2 aprile alle ore 21, con il nuovo allestimento de Le invisibili, lo spettacolo voluto da Alessandro Gassman nel filone di “teatro sociale” . Coprodotto con Società per Attori l’allestimento è in collaborazione con l’Associazione Smileagain ed è ispirato al libro “Sorridimi ancora” di Giulio Perrone Editore, con Maddalena Crippa.
Lo spettacolo sarà replicato fino a domenica 5 aprile a L’Aquila per poi circuitare nei principali teatri italiani.
Un teatro civile per dare voce a chi non ce l’ha. Un racconto corale che evoca sulla scena le storie vere di ragazze indiane, pachistane e nepalesi, il cui volto è stato devastato da un acido corrosivo gettato loro addosso da fidanzati respinti o mariti scontenti, secondo una pratica aberrante ancora in uso in molti Paesi.
L’associazione Smileagain insieme con l’Amministrazione Provinciale di L’Aquila ha incontrato una di queste donne, Fakhra Younas, che ha avuto il coraggio di denunciare gli abusi subiti e raccontare pubblicamente la sua storia. Ne è nato un progetto epico, emozionante, di inusitata bellezza e candore umano, condiviso nella scrittura teatrale di Emanuela Giordano (anche regista) e Lidia Ravera.
Maddalena Crippa si assume la responsabilità del ruolo della testimone occidentale che riflette e si pone domande.
Claudia Gusmano, Sabrina Knaflitz, Carolina Levi, Serena Mattace Raso, Antonia Renzella, Laura Rovetti, Federica Stefanelli, danno voce corpo, freschezza e dignità ad un mondo apparentemente lontano ma che invece si rivela a noi sorprendentemente vicino.
Per poter avere un ulteriore momento di confronto su un argomento così tragico e difficile da accettare per noi occidentali, sabato 4 aprile alle ore 11,30 si terrà nella Sala Rossa del Teatro Comunale, un incontro con il pubblico (ad ingresso libero) al quale, oltre alla compagnia parteciperà Giuliana Sgrena, giornalista e scrittrice che si occupa delle condizioni della donna nell’Islam, Clarice Felli, Presidente dell’associazione Smileagain, Stefania Pezzopane, Presidente della Provincia di L’Aquila promotrice del progetto.

NOTE DI SCRITTURA

Saira ha quattordici anni, viene punita per la pochezza della sua dote. Nasreen e Nassera hanno la stessa età, non si volevano sposare. Tasneem è andata a trovare la madre senza il permesso del marito. Mumtaz si è rifiutata di vendere la figlia. Shanaz non ha abbassato gli occhi quando avrebbe dovuto. Sabra voleva continuare a studiare. Di altre non si sa, è successo, molti di questi casi non finiscono neanche in tribunale o sui giornali.
All’improvviso qualcuno della loro nuova famiglia, qualcuno che conoscevano bene, qualcuno che le avrebbe dovute accogliere e proteggere, ha lanciato un acido corrosivo sul loro volto. L’acido ha bruciato gli occhi, il naso, la bocca. Non esiste più un viso, non esistono i colori e i suoni, non esiste ragione di vita. Molte sono morte.
Questi sono i fatti. Accadono milioni di ingiustizie nel mondo, ogni giorno siamo sopraffatti, ancora oggi, da atrocità perpetuate da secoli con bestiale ripetitiva ossessione. Ci sono decine di guerre in corso che coinvolgono le popolazione civili. Etnie di una stessa terra si massacrano a vicenda. In nome di religioni e di ideologie si compiono stragi. Dietro ogni strage c’è un mercato delle armi.
Con tutto quello di cui ci sarebbe da parlare, con tutti i temi che potremmo approfondire, con tutti gli scandali che dovrebbero essere denunciati perché perdere tempo con le storie di qualche migliaio di ragazze a cui la mano di un fidanzato, di un marito o di un altro parente ha tolto bellezza e salute, l’unica cosa di cui potevano disporre?
Sono storie lontane, accadute in paesi dai nomi difficili. Storie che non appartengono ad un clan, ad una casta, ad una lobby, ad una razza, ad una religione, ad un partito, ad una etnia. Non muovono voti, interessi, mercati. Sono storie invisibili di ragazze invisibili.
È questa, quindi, già una buona ragione per parlarne. Dare voce a chi non ce l’ha.
Ma c’è dell’altro. Questi racconti sono l’espressione di un male antico, il male che è all’origine di ogni altro male: la sopraffazione del più debole, di chi non ha potere e denaro, di chi non ha gli strumenti per ribellarsi. Donne, donne bambine, trattate come cani, peggio dei cani, oggetti di scambio, oggetti di violenza sessuale, oggetti in balia di una bestialità primordiale riconoscibile in tante società, in tante culture, anche nella nostra, non più tardi di ieri e forse non ancora estinta.
All’origine c’è il desiderio di dimostrare di avere potere, punire vuol dire disporre del destino di un altro. Punire per punire, per dimostrare a se stessi e alla propria famiglia di contare qualcosa per il semplice fatto che c’è qualcuno che conta meno di te. L’insensatezza del male, della gratuità del male di queste storie ci ha devastato, ci ha costretto a porci delle domande.
Non è stato facile parlarne, trovare una chiave di comunicazione teatrale. È prevalso, all’inizio, il pudore, il timore di dar vita, anche se in buona fede, ad una operazione “furba”, un teatro del “dolore”.
Con inclemente sincerità, prima di tutto nei confronti di noi stesse, abbiamo raccontato l’approccio a questo tema dal punto di vista di donne occidentali, privilegiate, orgogliose della nostra femminilità ma anche consapevoli delle difficoltà e delle discriminazioni che ancora comporta essere donna.
Le storie scelte sono tutte tratte da testimonianze vere. Abbiamo immaginato un racconto corale, epico, di bellezza, di candore, di divertimento, imbrigliato nelle illusioni e anche nelle sciocchezze universalmente adolescenziali per approdare poi all’esperienza terribile di matrimoni combinati, dove la parola dignità e rispetto non è neanche contemplata. Un racconto di donne bambine che presto perderanno il piacere del gioco e del sogno.
Cosa si può fare per loro? Moltissimo. Il problema è sempre lo stesso: volerlo veramente.
Emanuela Giordano
NOTE DI REGIA

Ho immaginato un luogo isolato, una zattera, un grande letto, una cuccia.
Lascio alla memoria di ciascuno la capacità di ricollocare questo spazio nella propria adolescenza.
Io ricordo notti di veglia, cibo e risate tra amiche ed estranee divenute subito amiche (almeno per il tempo di una notte). Notti di confidenze, rivelazioni, cretinerie, disordine di indumenti sparpagliati e umori caldi, odori rassicuranti, qualcosa che ha a che vedere con l’anarchico pigolio di un nido.
Non so se gli uomini, da ragazzi, hanno la stessa attitudine all’illusione di un’intimità che scalda e sostiene. Quando fanno gruppo a volte finiscono per fare branco che è tutta un’altra storia. Per il resto confessano molta solitudine.
Ho immaginato che questa intimità tutta femminile avesse una grazia leggera, sincera, rude, senza fronzoli e leziosità, ma grazia, incanto.
Poi arriva per alcune di loro una proposta di matrimonio o direttamente le nozze, combinate, e l’incanto si fa beffa. Molto presto. A quindici, sedici anni.
Il racconto non è più un chiacchiericcio condiviso, un canto corale, è la cronaca di una gelida condizione di solitudine.
Infine la notte e il buio. Il buio di occhi bruciati.
Ancora una volta, sperando di esserci riuscita, ho cercato nella sottrazione, bandendo ogni effetto, il teatro che più amo, di cui mi importa davvero.


31 Marzo 2009

Categoria : Cultura
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