Campo di Fossa, l’orrore del palazzo-sudario


via Campo di Fossa casafiglia RVL’Aquila – Prima o poi, sarebbero arrivati, tecnici, poliziotti scientifici, specialisti, gente che scava, preleva, acquisisce, valuta, misura, analizza e tira delle conclusioni. Sono le persone che dietro le quinte dell’inchiesta sui crolli e sui morti del terremoto lavorano in silenzio, con meticolosità. Oggi hanno puntato nuovamente il mirino su via Campo di Fossa e sui crolli, in particolare su palazzo che ha seppellito 23 persone, sbriciolandosi inesorabilmente sotto i colpi del sisma. Oggi, un mucchio di macerie, un impressionante baratro cxon uno strato di frammenti, cemento, ferri, poltiglia di oggetti frantumati, terriccio, piante selvatiche cresciute dove c’è un frammento di vita vegetale. Quella umana non c’è più. Che oggi l’inchiesta punti l’obiettivo sul sito è forse positivo, perché nel frattempo il baratro che era sotto il palazzo è diventato più evidente. Altri crolli, altri sprofondamenti, lo hanno messo in vista. Un vuoto buio, umido, freddo, come tanti altri nella zona, fin sotto le fondamenta dei palazzi rimasti in piedi lungo via Venti Settembre e sotto la strada stessa. Campo di Fossa è un nome-monito. Si dice che nella zona furono depositati i frammenti e le macerie del terremoto del 1703, e anche morti, probabilmente. Si mormora che la zona è maledetta, che vi si aggirano anime inquiete di chi è stato strappato alla vita già secoli fa. Voci, lugubri racconti mormorati di bocca in bocca, che nessuno ha il coraggio di riferire a voce alta.
vuoto sotto piazPaoli foto storica  Gianfranco Di Stefano
L’inchiesta arriva qui, per tirare le somme sugli indagati e sugli indiziati, proprio alla vigilia della ricorrenza deio defunti. Sarà un caso, ma a molti appare un’allegoria raggelante, un momento deella danza macabra sull’orlo di un quartiere oggi distrutto (di nuovo?) che non avrebbe dovuto esserci, che nessuno avrebbe dovuto costruire, lontano negli anni Sessanta e anche prima. Campo di Fossa. I morti di secoli fa non hanno più nomi, quelli di oggi sì. L’Aquila che non doveva esserci parla, oggi, il linguaggio asettico di perizie e carte giudiziarie, che cercano dopo la livida alba del 6 aprile colpe e colpevoli. Un’alba di strazio, di indicibile sofferenza, di urla, luci intermittenti, corse, febbrili scavi con le mani tra le macerie, sangue, richiami sempre più flebili che alla fine si sono spenti nella morte. (G.Col.)
(Nella foto Col sopra: Il baratro lasciato dal crollo dell’edificio in via Campo di Fossa, 23 vittime
Sotto, foto storica di Gianfranco Di Stefano, i vuoti sotto via Venti Settembre divedrsi decenni orsono)


30 Ottobre 2009

Categoria : Cronaca
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