Di questo passo L’Aquila non ce la farà


L’Aquila – (di Gianfranco Colacito) – Il 6 giugno saranno 14 mesi dall’altra vita, quella che a decine di migliaia hanno dovuto abbandonare, espulsi, enucleati dalla loro esistenza, che non hanno ripreso. E di questo passo, non riprenderanno. Anzi, di questo passo L’Aquila non ce la farà, perderà abitanti, risorse, attività produttive, vitalità e soprattutto voglia di vivere. Di esserci. Viene il momento in cui anche il naufrago più coriaceo, coraggioso, forte, sceglie di lasciarsi andare. E non stiamo parlando di ricostruzione, perchè nessuno si illude più di tanto: 15 anni sono occorsi in Friuli. Erano tutti piccoli centri. Era, ed è, gente seria, di carattere rigoroso e di lontane radici morali asburgiche. Dissero: prima case e fabbriche, poi chiese e palazzi. Scelsero, gestirono, decisero, e fecero. Senza lo Stato e senza politici inetti e affamati. Senza inchieste scottanti e senza iene che ridevano da qualche parte. L’Aquila, invece, dopo 14 mesi è ko e lo sono psicologicamente molti aquilani. I pochi, pochissimi politici utili che abbiamo sembrano voci clamanti nel deserto. Gli altri non producono nulla, cedono ogni giorno un po’ alla burocrazia e agli appetiti insani.
Soldi fermi da tutte le parti. Imprese non pagate. Cittadini delusi e presi in giro da una farragine gestionale e amministrativa che fa paura, o fa piangere chi non può, come gli anziani soli, tentare di combattere, di difendersi. Confusione, contraddizioni, ritardi enormi, quelle quattro opere pubbliche rimaste incompiute, le più importanti neppure cominciate, come lo svincolo di Quaianni. La città ridotta come un suk del terzo mondo, sporca, abbandonata, scalcinata,non servita, semibuia, confusa, soffocata da un traffico che è peggio di quello di aprile 2009, quando ululavano sirene e abbagliavano luci azzurre. Non è cambiato nulla, se non in peggio.
Nulla, tranne una cosa: il popolo. Che sia quello delle carriole, quello dei comitati, quello delle assemblee. Un popolo vitale, accigliato, decisionista, che ha riconquistato la piazza, l’antica agorà delle città greche in cui ci si riuniva per decidere il proprio e l’altrui futuro. Quel popolo è il sangue genuino, forse un po’ confusionaro e demagogico, ma pulsante di sangue caldo: ciò che manca alla politica e al potere. Quel popolo scelga qualcuno tra i pochissimi politici che hanno cervello e cuore, e scriva il futuro. Altrimenti non ci sarà via d’uscita. L’Aquila nonj sarà mai più com’era, e in tanti comunque non la rivedranno. Ma chi resterà a presidiio di una collettività che ha secoli di storia, ha dei doveri, e anche dei poteri, quelli che si è aggiudicati senza urne e senza campagna elettorale. Il popolo c’è, rispetti le leggi e alzi la voce, fino ai palazzi romani e a quelli – assai più modesti, ma non meno pericolosi – regionali. E’ la sola strada. Al passo attuale, non si va da nessuna parte.


31 Maggio 2010

Categoria : Cronaca
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