Commercio, giganti su piedi di argilla


L’Aquila – ( di G.Col.) – Finite le calche, le folle, gli assalti con i carrelli, le attese alle casse, lo sgomitare nevrotico tra gli scaffali pieni di paccottiglia o sontuose esposizioni di alimenti. I centri commerciali si rivelano giganti dai piedi di argilla che, come il colosso di Rodi, si inclinano e qualche volta crollano. A rimetterci le penne, indovinate, i dipendenti: o licenziati, o in mobilità, o eiettati e amputati della agognata busta paga. Insomma, fuori. Lo sviluppo è stato apparente, anzi finto.
Sta accadendo in una delle aree mercantili più vivaci, quella di Pescara Nord-Città S.Angelo, dove uno dei marchi presenti aveva addirittura raddoppiato e ampliato da un paio di anni, e oggi vive in affanno. Altri licenziano, altri ancora snocciolano i numeri del tracollo e si preparano a ridurre. Già, perché a ridursi è stata, da un paio di anni ma nel 2014 ancora di più, la clientela. Inesorabilmente.
I corridoi sono semivuoti, le prospettive sovradimensionate di immensi capannoni che hanno sempre ospitato i santuari del consumo, appaiono lunari, insolite. Perché vuote. La gente non c’è, gli acquisti sono modesti, alcuni reparti sarebbero da chiudere subito.
Il tramonto del consumismo abruzzese cominciò all’Iper di Colonnella l’anno scorso, con la inattesa chiusura di Ristò. Chi se lo sarebbe mai immaginato, dopo le calche del dopoterremoto, quando sulla costa si riversarono migliaia di profughi aquilani. Poi, nel tempo, si sono materializzati altri focolai di crisi, l’ultima spiaggia per la grande distribuzione ormai in sofferenza. La gestione ha costi altissimi, pensate alla corrente e alla climatizzazione…
Quanto sta accadendo – e siamo forse solo all’inizio di mesi che potrebbero essere duri – è la naturale involuzione di situazioni sbagliate risalenti ad anni, molti anni fa, quando l’Abruzzo diventa l’Eldorado dei marchi europei e italiani, la terra di conquista della grande distribuzione, riversatasi da queste parti come una nube di locuste. Sciorinati luci, capannoni, scaffali, milioni di oggetti da mercificare e montagne di alimenti, ma anche proposte di svago, i centri commerciali stravolsero le abitudini, svuotarono i centri delle città, devastarono il piccolo commercio, mandarono in malora un’infinità di ditte familiari. In cambio diedero posti di lavoro (spesso mal pagati) e illusioni. La politica, cieca o corrotta allora più che mai, rinunciò a regolamentare, limitare, contenere il fenomeno, magari distribuendolo nelle aree secondo le dimensioni e le necessità. Nacquero enormi concentrazioni di siti e aree-città del commercio, poli di vendita. Il piccolo Abruzzo superò le regioni del Nord quanto a percentuali di presenze distributive.
Né economisti (quelli bravi a prevedere… ciò che è già accaduto), né amministratori, tanto meno potenti della politica, o affaristi e avventurieri, tanto meno la Regione (che dovrebbe sovrintendere anche al commercio, d’intesa con i comuni) valutarono con consapevolezza il fenomeno. Nessuno capì che si sarebbero accese prima di tutto guerre commerciali tra big, che il piccolo commercio sarebbe deceduto, che il tessuto produttivo sarebbe venuto fuori stracciato e stravolto. Nessuno capì nulla neppure sul piano sociale e psicologico: le città avrebbero perso i loro centri storici, cedendo ai centri commerciali il ruolo di punti di aggregazione. Ma stupidi e liquefatti nell’anonimato, umanamente desolanti. Cimiteri popolati da morti che camminano guardandosi intorno straniti e come inebetiti.
La crisi ha portato le ovvie involuzioni di tutto questo, riducendo le folle e gli acquisti nei centri commerciali, anche loro ridotti alle corde. Direte: inevitabile. Diciamo: in altri paesi del mondo e dell’Europa si è agito con lungimiranza, favorendo i poli commercianti, ma senza uccidere i minori. Noi ci ritroviamo, invece, tra marchi che traballano e licenziano, e un tessuto commerciale urbano, cittadino, più familiare, che non esiste più perché è stato ucciso dal dilagare incontrollato dei grandi.
Vi sono situazioni differenti, è vero. A L’Aquila un grande centro commerciale risulta, al momento, utile alla collettività anche come luogo di aggregazione, non esistendo più la città storica. A Chieti, un grande centro commerciale (che conta persino di raddoppiare) ha svuotato e sgonfiato la città, così come in sostanza anche a Teramo. Sono centinaia ditte e negozi (anche storici) che chiudono per sempre. E’ progresso tutto questo?


30 Novembre 2014

Categoria : Cronaca
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