Ecco i comuni senza piani emergenza e fuga


L’Aquila – Come L’Aquila, diversi dei 108 comuni della provincia – che viene confermata tra le più sismiche d’Italia, con punte di rischio elevatissimo – non hanno un piano di emergenza valido e approvato, almeno per quanto risulta da un documento della Regione Abruzzo, di cui siamo in possesso. Volendo sottilizzare, possiamo parlare di individuazione di aree e spazi in cui far confluire la popolazione in situazioni di emergenza: parlando senza reticenze, di un terremoto. Diversi comuni, ma non moltissimi. Ve li elenchiamo: Alfedena, Ateleta, Bugnara, Capestrano, Castel di Sangro, Celano, Corfinio, Introdacqua, L’Aquila, Luco dei Marsi, Oricola, Pascasseroli, Pescina, Pescocostanzo, Pettorano, Pratola Peligna, Raiano, Rocca di Mezzo, Roccaraso, Scanno, Scurcola, Tornimparte, Vittorito.
Accanto ai nomi dei comuni indicati c’è scritto “in fase di approvazione”, meno Pescasseroli, Raiano, Roccaraso: i loro nomi sono seguiti da una casella vuota. Nè in fase di approvazione, nè altra spiegazione o giustificazione. Niente. Piani mai fatti? Piani da elaborare quindi fatti a metà? La Regione non lo sa, e nemmeno noi. Il che importa poco. Più grave, invece, che non lo sappiano i cittadini di quei comuni e che nessun politico locale o regionale se ne sia accorto.
Potrebbe darsi che, come nel caso dell’Aquila, esistano solo intoppi e assurde situazioni derivanti dalla burocrazia: consegne ufficiose e ufficiali, approvazioni non comunicate e quindi ignote alla Regione, cose di questo genere che rendono l’Italia un paese ridicolo, anche nella drammaticità di certe vicende.
Notiamo che alcuni comuni senza piano sono in rischio sismico elevato: Castel di Sangro, o Rocca di Mezzo, oppure Celano, Luco dei Marsi, Alfedena. Ma possiamo dire che tutti i 108 comuni della provincia sono a rischio, e non esageriamo. Se secondo le ultime regole, tutto il territorio abruzzese è più o meno sismico, figuriamoci la Marsica o l’Alto Sangro, oppure il Parco nazionale d’Abruzzo.
Per onestà di ragionamento, va detto che nei piccoli centri il problema delle aree di fuga o di raccolta è molto meno grave, rispetto ad una grande area urbana, come quella aquilana. Nei paesi c’è tanta campagna e ognuno, più o meno, ha le sue proprietà nelle quali, all’occorrenza, rifugiarsi.
Le carte parlano, e noi vi diciamo cosa riferiscono. Soprattutto che a L’Aquila, 23 mesi dopo il sisma, la popolazione non conosce ancora il piano di emergenza mentre – purtroppo – il terremoto continua a brontolare, a farsi sentire, a minacciare gente che al momento, se fosse necessario, non saprebbe dove fuggire o chiamarebbe un telefono “amico” che va a riposo la sera alle 19 e durante i week end.


27 Febbraio 2011

Categoria : Cronaca
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