Le “nenie pastorali” multate a Milano: gli zampognari più forti della burocrazia


di Amedeo Esposito
Non v’è pace per gli zampognari abruzzesi che, insieme ai molisani, ai laziali ed ai sardi, nei secoli, con la loro “tibia utricularis” dapprima con grande favore cantarono sempre le “nenie natalizie”, per divenire dall’inizio dell’Ottocento “simbolo di miseria ed arretratezza”.
Dopo la seconda guerra mondiale, sulla scia del miracolo economico, tornati trionfalmente sul palcoscenico del mondo si ritrovarono lungo le scintillanti strade delle ricche città italiane e in particolare delle vie del lusso di Milano, dove, purtroppo, come ha denunciato il presidente del Codacons, Marco Donzelli, in quest’ultimo Natale gli zampognari abruzzesi sono stati multati perché privi di permessi burocratici.
L’ultima sparuta pattuglia di zampognari abruzzesi – che comprende la prima donna zampognaro in Italia – infatti è incappata nelle maglie della burocrazia milanese. Burocrazia che non ha storia, e dunque è frutto delle “moderne schiavitù”, da cui le nenie natalizie presto dovranno affrancarsi, come auspica il Codacons
Ed è proprio la storia che “seppellirà” qualunque atto contrario quelle melodie che affondano le loro radici nel mito e nella realtà.
E così, nella fiaba, il principe povero conquista con la nenia della sua zampogna la principessa triste che finalmente sorride alla vita.
Nella poesia “le Ciaramelle”, Giovanni Pascoli ode “quel suono d’ organo pastorale antico come gli antichi pastori”, e sente in esso “la voce mesta e soave della fanciullezza di ognuno di noi”.
Nel mito, Stefano Di Stefano nella sua opera “La ragione pastorale” (1731) fa derivare dalla ” zampogna consegnata a Pan, dio dei pastori, l’ organo, il flauto, la tromba e tanti altri strumenti che comunemente diconsi di fiato”.
La zampogna del resto, nella sua essenzialità, è formata da un sacco di pelle di pecora, che lo zampognaro gonfia d’ aria, e di tre canne a clarinetto
Nella realtà la zampogna (citata anche nella Bibbia) o cornamusa, la “tibia utricularis” in latino, dapprima inserita nella legioni di Roma per aumentarne, dinanzi ai nemici, la forza corale (o urli di guerra), cantò poi i fasti dei Cesari (Svetonio riferisce che Nerone ne era insigne suonatore) e dei potenti romani, punteggiò successivamente le civiltà contadine, pastorali e popolari.
Nel Diciannovesimo però lo strumento divenne “simbolo di miseria ed arretratezza”, per i pastori dell’ Abruzzo, del Molise e del Lazio non meno che di quelli del Sud o della Sardegna.
Negli ultimi 50 anni del “secolo breve”- come s’è detto – con ben altra considerazione, che ha superato finanche l’ aspetto folcloristico, la zampogna (in italiano anche: cornamusa o piva; in francese: cornamuse. Musette o chevrette; in inglese: bagpipe; in spagnolo: gaita; in tedesco: sackpfeif o dudelsack) la si trova ovunque nell’ area mediterranea e nel resto dell’ Europa settentrionale, compresa la Scozia.
Questa sua nuova frontiera, per quanto riguarda l’Italia centrale, è ben visibile oggi ad Acquafondata di Frosinone nel Lazio (dove è noto il festival internazionale degli zampognari), a Scapoli di Isernia nel Molise (per l’annuale mostra-mercato della zampogna), nel chietino in Abruzzo (dove opera l’accademia della zampogna).
La zampogna nel terzo millennio è entrata, con la dignità di un “nobile strumento” nelle orchestre anche sinfoniche, rinverdendo la notorietà ch’ ebbe nel Seicento e nel Settecento, quando “vennero costruiti sofisticati esemplari, dalle canne d’ avorio riccamente ornati”, pur nella imperfezione tecnica che limitava allora le possibilità sonore del clarinetto
Forse non più, ma nel passato si sono contati molti “Stradivari della zampogna”. Per certo, nelle ristrette zone citate in cui vive lo strumento, si contano alcuni “attonatori”.
Sì, perché come per i pianoforti è essenziale l’”accordatore”, per le zampogne lo è altrettanto e forse più l’”attonatore”, senza l’intervento del quale nessun suonatore potrebbe servirsi dello strumento.
Non di rado vengono costruite zampogne di alta qualità ed elevato costo, cedute a veri competenti, con legni pregiati di ebano, di ulivo e di pruno. Gli esemplari più pregiati finiscono solitamente in cassaforte.
Con rinnovato orgoglio si parla ormai degli zampognari dell’Abruzzo. del Molise, del Lazio e della Sardegna, i quali in varie contrade italiane, suonano “novene della Concezione e di Natale”, ma “cantano” anche nelle feste estive e primaverili.
Le esibizioni in tv, in vari teatri o in complessi folk, hanno contribuito ad eliminare il retaggio dello “zampognaro patetico e accattone”.
I “maestri” della zampogna – musicisti quasi tutti diplomati nei conservatori – sono ancora chiamati nel Beneventano, nell’ Emilia-Romagna, nel Veneto, nella Lombardia, onorando con la loro presenza gli accordi che annualmente li impegnano, in alcuni casi da decenni, a suonare lungo le “vie della prosperità” delle città italiane.
Contratti che un tempo erano sanciti, in particolari con i commercianti milanesi e con la camera di commercio lombarda, mediante il dono di un cucchiaio di legno intarsiato.
Oggi si usa la carta bollata.
Purtroppo i “maestri-zampognari” in Italia sono sempre meno, in quanto dagli anni Ottanta del secolo scorso i tantissimi più dotati hanno scelto di percorrere le strade di Losanna, e ancor più le avenues di New York, e con grande successo sono presenti negli auditorium della “Grande mela”, inseriti fra i professori delle più famose orchestre sinfoniche.
Ecco perché le multe che Milano ha comminato alle “nenie pastorali” non fermeranno i suonatori delle stesse che ormai sono sulla “scala del canto di Giobbe che gli angeli hanno dimenticato sulla terra”.


08 Gennaio 2012

Categoria : Storia & Cultura
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