Sismi e fango dal sottosuolo? E’ capitato altre volte, anche nel 2009 a L’Aquila


L’Aquila – (di Gianfranco Colacito) – ESISTONO VULCANELLI PERMANENTI – SONO NOTI E PRESENTI NEL TERAMANO – (Disegno del 1854 che ritrae il vulcanello di Pineto, e foto di vulcanelli a Maccaluba in Sicilia) – Nelle concitate cronache del terremoto aquilano del 2009, fu riferito – magari troppo frettolosamente – che nelle campagne verso Sud della città si erano manifestate fuoriuscite di fango e acqua calda dal sottosuolo. Se vi fosse stata , invece delle passerelle di poliici e loro palafrenieri, da parte delle autorità e del mondo scientifico ufficiale maggiore attenzione verso la popolazione terrorizzata di quei giorni dell’aprile 2009, si sarebbe potuto spiegare meglio cosa stava accadendo sopra e sotto la terra.
LA NATURA VA OSSERVATA E STUDIATA – Il fenomeno manifestatosi con tanta prepotenza nel terremoto in Emilia di questo maggio, le emissioni di quel tipo – sabbia padana al posto del fango nostrano – sono state macroscopiche e vistose, con conseguenti sollevamenti e avvallamenti del suolo. Pauroso, di certo, ma non anomalo e non inedito.
La natura tende a ripetersi, è l’uomo che non le bada, che non la conosce, che elude la scienza scegliendo fantasie e superstizioni, magari il solito diavolo che vuole salire dagli inferi terragni a punire l’umanità. E’ sedimentato nei secoli il convincimento della “punizione” naturale per le malefatte umane, che tutti tranquillamente, però, continuano a perpetuare…
NEL 1703 DIVERSI CASI ANALOGHI – Il fenomeno dell’affioramento di fango, sabbia e altre sostanze liquefatte o gasose ricche di composti chimici ipogei è storico e documentato. Nel 1703, secondo terremoto distruttivo a L’Aquila, emersero tra Scoppito e Sella di Corno non solo fango e liquidi, o addirittura “fontanazzi” di acqua limacciosa e calda, ma si formarono dei laghetti di acqua sulfurea, nel tempo poi scomparsi.
Le falde e le vene d’acqua del sottosuolo vengono sottoposte a forti pressioni dai movimenti delle faglie, e finiscono con il liquefare il terreno, emergendo attraverso la fratture vecchie o nuove formatesi con i terremoti. I quali, sostanzialmente, derivano da fratture profonde della crosta terrestre che si spingono o slittano, o si sovrappongono e sottopongono (subsidenza), generano vibrazioni che a loro volta accrescono le fratture: le faglie generano faglie, che possono emergere o rimanere nel sottosuolo: in questo caso sono faglie cieche.
I VULCANELLI ABRUZZESI -I vulcanelli sono numerosi per esempio a Maccaluba in Sicilia. In Abruzzo sono pochi, ma presenti. Secondo uno studio tanto utile e prezioso, quanto del tutto ignorato in Abruzzo (che danno quando la “cultura” è solo musica, poesia, teatro e relativi apparati e costi…), eseguito da quattro mani da Romolo Di Francesco e Gianni Scalella (reperibile solo su Internet), in Abruzzo, nel Teramano, esistono altre manifestazioni analoghe, i vulcanelli permanenti, presso Pineto, Cellino Attanasio e Torano Nuovo.
Il vulcanello di Pineto è il più noto, rintracciabile lungo la provinciale per Atri. “Le prime descrizioni – scrivono i due ricercatori – delle sorgenti connesse ai “vulcani di fango” presenti nel territorio abruzzese risalgono alla metà del 1800 (Amary,1850, Stoppani, 1866; Cacciamali, 1892; Bonasera, 1954). Nell’area abruzzese tali sorgenti sono ubicate nel bacino periadriatico caratterizzato dai terreni plio-pleistocenici costituiti da alternanze conglomeratiche, arenacee e marnose poggianti sui sedimenti messiniani della Formazione della Laga.
Nel settore teramano le sorgenti connesse ai “vulcani di fango”, che rappresentano la concausa di generazione della forma stessa, non sono particolarmente diffuse; tra le località ad oggi individuate sono da citare una zona nel Comune di Pineto,, due nel Comune di Cellino Attanasio, , una nel Comune di Atri e due nel Comune di Torano Nuovo”. Lo studio ricorda che le “eruzioni” sono intermittenti e secondo alcuni connesse con le piogge.
I vulcanelli andrebbero studiati di più, conosciuti, mostrati al turismo e agli studenti, e magari anche tutelati come beni naturali e ambientali.
ARGOMENTO ANCORA DA ESPLORARE – “Le sorgenti ipogee – dicono i due studiosi – presenti nella Regione Abruzzo costituiscono a tutt’oggi un argomento ancora da esplorare. Infatti, mentre per altre Regioni d’Italia l’argomento è stato trattato sia da un punto di vista prettamente morfologico che di analisi qualitative e quantitative, per i vulcanelli di fango, e le sorgenti ad essi connesse, del territorio abruzzese le conoscenze non vanno oltre la citazione, spesso di origine storica, e la descrizione morfologica.
Per spiegare la genesi di tali fenomeni, sono state ipotizzate diverse cause le quali fanno riferimento all’attività sismica, alla presenza di gas nel sottosuolo, al regime pluviometrico, nonché alle condizioni morfologiche e geoidrologiche
Esiste una serie di dati di laboratorio comprendenti analisi chimico-fisiche delle acque sorgive associate ai vulcanelli di fango, delle particelle in sospensione nonché della distribuzione delle emissioni di geogas (isotopo dell’elio 4He) dal sottosuolo. Considerata l’importanza anche storica dei vulcanelli di fango, come dimostrato dal disegno di Giacinto Stroppolatini del 1854 (vedi immagine riprodotta) intitolato “Vulcanello acquoso di Atri” (oggi territorio del Comune di Pineto istituito nel 1929) in merito alle antiche strade consolari abruzzesi, ne deriva, per la particolare ed atipica conformazione rispetto all’ambiente circostante, una impellente necessità di salvaguardia e tutela di tale bene ambientale, di per se molto vulnerabile”.
Nel vulcanello di Pineto, la zona di emergenza, si configura geometricamente come un apparato sub-conico con un diametro alla base di circa 7 m ed un’altezza di circa 1.5 m che risultano variabili nel tempo in funzione all’alternanza di fasi parossistiche di emissione essenzialmente fluido-gassosa alternati a periodi ad emissione ridotta.
Le emissioni analizzate rivelano presenza di elio, cloro, sodio, e naturalmente acque, fango e sabbie. In corrispondenza con il vunlcanello, il terreno appare rigonfio e sollevato.
Se esistesse un servizio geologico pubblico, se le università fossero più attente a certe ricerche, se… se… Dovremmo dire: se non fossimo in Italia, anzi in Abruzzo, certe manifestazioni naturali e certi aspetti della nostra terra sarebbero più noti e magari presi in considerzione. La verità è che non si dedica ricerca, e quindi neppure risorse e cervelli, neppure all’aspetto sismico del territorio. Delle faglie esistenti sappiamo poco, talvolta niente. Umilmente, gli studiosi onesti riaprono i libri di storia per sapere, almeno, cosa successe nei secoli, e farne tesoro sotto il profilo statistico. Almeno.


02 Giugno 2012

Categoria : Scienze
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