Atto dovuto per la giustizia. E la coscienza?


Pescara – (di Stefano Leone) – Leonardo Paloscia è un cardiologo. E’ il responsabile del reparto di Emodinamica dell’ospedale “Santo Spirito” di Pescara. Un uomo che dona alla sua professione mediamente tredici ore al giorno del suo tempo. E sapete perché? Perché è un medico che interpreta il suo lavoro come una missione. Leonardo Paloscia è un medico attento, competente, scientificamente preparatissimo ma, aspetto da non sottovalutare, è uno di quei medici per i quali il paziente non è un numero di letto. Si, perché lui lo ascolta il paziente, gli da modo di parlare e parlare come sa fare, ne segue percorso e le vicissitudini.
E’ uno di quei medici che, quando hai opportunità di conoscerlo, ti fa fare pace con la categoria. Il Dott. Paloscia divide il suo tempo fra la professione, la famiglia e le sue passioni: il calcio e il ciclismo. E proprio la dedizione istintiva e naturale per la sua professione lo ha portato ad essere “preso in considerazione” da una giustizia che spesso è cieca e sorda alla flessibilità dell’interpretazione evidente e alla considerazione di azioni fatte solo con l’unico e imprescindibile intento di fare bene. Lui, Leonardo Paloscia, il medico, è indagato (insieme ad altri tre colleghi che però hanno posizioni diverse e più dirette nei fatti), per la sola colpa di aver sentito l’istinto di prestare la sua competenza, la sua esperienza, la sua indole di uomo-medico in un momento nel quale la drammaticità degli eventi stava portandosi via la vita di un giovanissimo atleta, Piermario Morosini. “…è un atto dovuto” dice la giustizia. Dovuto a chi? Dovuto a che cosa? Dovuto al solo fatto di essere, come migliaia di altri uomini in quei momenti, uno spettatore in tribuna di una partita di calcio e, nello scatenarsi di momenti tragici aver sentito la spinta irrefrenabile e istintiva dell’uomo che chiama il medico e che lo pone al centro degli eventi emergenziali come coscienza gli detta? Bè, come atto dovuto, proviamo a fare il discorso contrario. Il Dott. Paloscia è sugli spalti ad assistere alla partita come migliaia di altri tifosi; nel momento in cui si scatena l’evento tragico lui rimane, come gli altri tifosi, in piedi a guardare la tragedia che si sta consumando sul campo. Tanto ci sono figure professionali che il protocollo riconosce come qualificati “istituzionalmente” a ricoprire il ruolo, (medico sociale della squadra ospite, medico sociale della squadra di casa e medico facente parte l’equipaggio dell’ambulanza). Avviene ciò che è avvenuto, vale a dire la morte del giovane giocatore e, la domanda è: da quell’istante in poi, chi avrebbe dato pace alla coscienza dell’uomo-medico Leonardo Paloscia per non aver dato spontaneamente il suo contributo? Anche rispondere a questa domanda appare essere un “atto dovuto”.


01 Ottobre 2012

Categoria : Cronaca
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