San Martino, più che corna, abbondanza


Chieti – Luciano Pellegrini dedica la sua attenzione e il suo obiettivo a San Martino. Ecco cosa ne scrive: “San Martino, la festa dei cornuti! Assolutamente NO… è la festa dell’abbondanza rappresentata da una cornucopia, da qui il banale errore interpretativo.
La Cornucopia è il corno dell’abbondanza, simbolo di benessere, fertilità, fecondita’ e felicita’.
Il significato popolare di cornuto indica la vittima del tradimento erotico.
A rigore di termini il “cornuto” dovrebbe essere l’altro, chi tradisce…, (essendo le corna simbolo tra l’altro di potenza virile).

Le corna simboleggiano potenza, luce (nella tradizione giudeo-cristiana), aggressivita’.
La ricorrenza nel mese di Novembre è spiegata perché anticamente si celebravano, proprio a novembre, 12 giorni di sfrenata festa pagana, di tipo carnevalesco, durante i quali avvenivano spesso gli adulteri.
I mariti traditi venivano fatti oggetto di scherno e di una vera caccia, sia pur simulata, nella quale essi dovevano interpretare il ruolo del cervo, animale dalle ricche e ramificate corna.

San Martino di Tours fu uno dei santi più popolari dell’Europa occidentale, tanto che molte chiese e parecchi comuni presero il suo nome. E’ considerato il patrono dei soldati e la sua festa si celebra l’11 novembre.

La tomba del santo si trova nella cripta della basilica di San Martino, a Tours, comune della Francia, punto di partenza per la visita dei famosi Castelli della Loira.
Secondo la leggenda a sua sorella piacevano parecchio i giovanotti.

Martino, per controllarla a vista, la voleva sempre con sé anche durante le predicazioni, tanto da trasportarla sulle spalle se lei si stancava di camminare. Una volta, la sorella chiese al santo che aveva urgenza di appartarsi dietro ad una siepe per “sbrigare un bisognino”. Dietro la siepe c’era un bel giovane a cui la donna aveva dato appuntamento…e consumarono l’incontro.

Dopo qualche tempo, Martino, con la sorella sulle spalle, cominciò a sentire un peso sempre più gravoso perché quella ingrassava. Infine s’accorse che stava per diventare zio.

Per questo motivo il santo simboleggia chi è costretto a sopportare i tradimenti, quindi è il protettore dei mariti infelici.
Un’altra famosa leggenda è quella dell’estate di San Martino che, dal punto di vista meteorologico, corrisponde ad un periodo particolarmente mite.

Narra la leggenda che Martino incontrando un viandante infreddolito, aveva tagliato il suo mantello in due per dividerlo con l’amico.

Venne successivamente ricompensato da Dio con una bella giornata di sole.
Nella tradizione abruzzese, San Martino è il protettore del vino e si narra una leggenda sulla sua vita per spiegare questa attribuzione.
La figura del santo non ha niente a che vedere con il Santo venerato dalla chiesa.

Martino era uno che si ubriacava sempre, un ubriacone. Una sera d’inverno era caduta un po’ di neve, faceva molto freddo e Martino era stato in una cantina e si era ubriacato.

In quei giorni la moglie era incinta e stava per partorire. Mentre egli tornava a casa, gli venne uno scrupolo nell’anima. Disse fra sé e sé: Se torno a casa e vado a coricarmi accanto a quella poveretta, così intirizzito dal freddo come sono e ubriaco, la faccio soffrire.

Per questa sera dormo giù nella nostra cantina.

E così fece. Entrò nella sua cantina e si accovacciò in una nicchia scavata dentro il muro, proprio dietro una grande botte.

La notte, a causa del freddo, morì!

Quando la sua anima giunse davanti a Dio, riconoscendo che lui era morto per non fare del male alla moglie, Dio lo fece santo.

Invano la moglie lo aspettò…,del marito non ebbe più notizie!

Dal giorno della scomparsa cominciò ad accadere un fatto miracoloso: da quella grande botte che lei teneva in cantina, più vino espelleva e più ce ne ritrovava!

La notizia nel frattempo si propagò. Vennero il prete e la gente dal paese per vedere quel miracolo. Il prete volendo sincerarsi, osservò bene la botte, sotto e sopra, davanti e dietro e che trovò?

Vide il corpo del santo dentro la nicchia e dalla sua bocca era spuntata una vite e questa vite era entrata dentro la botte.

E quando guardarono dentro la botte, videro che questa vite aveva fruttificato l’uva che diventava vino da sola.

Allora dissero: “Solo un santo può fare un miracolo come questo!” E vi costruirono una chiesa.

Ecco perché San Martino è il patrono del vino.

Altra usanza…, quando si lavora il pane o si fanno i dolci,si utilizza questa frase:San Martino lo accresce.

Questa frase è un porta fortuna per favorire una buona lievitazione da parte del santo dell’abbondanza…Martino!

A Chieti il 10 Novembre, presso la ex scuola elementare di contrada SS. Salvatore, Lu Ramajette che fa parte del Laboratorio Tradizioni d’Abruzzo,ha festeggiato l’inizio del nuovo ciclo annuale delle attività.

Lu Ramajette è un’associazione che ricerca, pratica e ripropone le tradizioni popolari dell’Abruzzo.

Il significato del nome rappresenta uno speciale mazzolino di fiori di campo raccolti nel mese di Giugno che viene regalato ad una persona alla quale si vuole particolarmente bene, per proporle di divenire compare oppure comare.

Se la persona gradisce questo legame si diventa compari di fiori, chiamato anche compari di S. Giovanni.

Alle ore venti, una cinquantina di amici ci siamo ritrovati in questa ex scuola per dar inizio alla “ festa dell’abbondanza”, tutto rigidamente riscoperto e tramandato con gli abiti tradizionali, i tegami, le ricette.

Ho iniziato ad assaporare e gustare i cibi proposti.

“La Chechécce nghe li fasciule, ( la zucca con i fagioli)”, poi la “cipullàte, savesècce e ventrèsche nghe la pizz’ d’ randìgne, (la cipollata con salsicce, pancetta e la pizza di granoturco)”, a seguire “lu ‘bbaccalàne ‘mbasctellàte, con lu bastardone, ( il baccalà fritto con la pastella e peperoni secchi dolci), quindi “lu pane ònte nghe l’òje nòve, ( il pane unto con l’olio nuovo).

Non può mancare “lu cazzarelle”, ( peperoncino piccante)”.

E’ faticoso mandare giù…queste “lecchenizie…”, ( squisitezze), ma ci pensa il vino novello rosso.

La cena continua con “Lu melone… tajjàte”, ( il melone tagliato a cubetti) e “Le cose doce fatt ‘a la casa…li dulce”, (crostata con marmellata di scrocchiata…E’ la marmellata di uva nera…, i dolci con la ricotta, li cazzune,( è un dolce fatto con le patate a forma cilindrica, fritta e guarnito con lo zucchero).

Mai ne ho mangiate di questa levatura…
Per finire…, “le carracìne maritàt’ ”,( i fichi secchi riempiti con le noci) – dù casctàgn’, cici e fave abbruschilìte ,( castagne, ceci, fave abbrustolite)”.

E’ necessario, irrinunciabile bere un paio di bicchieri di “lu vine nòve… vine rosce alla cannata”, (vino alla brocca) e lu cafè.

A questo punto iniziamo a cantare accompagnati da lu dubotte,( strumento caratteristico, una specie di organetto), tamburelli, nacchere, chitarra, e lu vurre vurre, ( un tamburo con un’asta al centro che con movimento verticale emette un suono cupo con una sola nota)

L’ambiente è caldo e si danno inizio ai balli, anche questi rigidamente legati alla tradizione, e folklore …

Le ore passano, ogni tanto, dopo aver cantato e ballato, per riposarci, con la gola secca che richiede un altro bicchiere… di vine nòve rosce o meglio bevuto nghe lu cuppine…mestolo….

Alla fine della serata un saltarello e l’immancabile quadriglia.

Il locale immerso nella campagna, l’amicizia,l’ambiente, la serenità, l’essere convinti che la storia e le usanze della tradizione, il cibo, il vino, il canto, il ballo…, sono tutti principi per distrarsi dalla noia e abitudini quotidiane.


20 Novembre 2012

Categoria : Cultura
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