Carceri e igiene in Italia: diritto alla salute a rischio


(a cura di Flavio Colacito – psicopedagogista). Tempo d’estate, giorni di spensieratezza, vacanze, relax. Mentre gli italiani pensano al meritato riposo, rimangono in sospeso tanti altri problemi che con la bella stagione non vanno in vacanza. Un esempio? Le carceri, un luogo dove l’alternanza delle stagioni e il passare del tempo dicono poco, dove si consumano esistenze spesso alle prese con problemi al limite di quello che si può definire un Paese “civile”. Già, perché le pene non dovrebbero mai trasformarsi in qualcosa che lede la dignità umana nel profondo, in quanto tra i detenuti c’è e ci sarà sempre chi vuole cambiare vita e lotta con i propri “demoni” interiori per farlo con tutte le forze. Si parla di situazioni molto spesso al limite, a volte documentate con coraggio dalle telecamere che entrano, per esempio, nei manicomi criminali, veri e propri “lager” che non hanno nulla da invidiare a quelli nazisti. Anche quelle sono realtà, poco piacevoli da accettare per uno Stato moderno che aspira a rivendicare ruoli europei di rilievo, discusse dalla politica ed in attesa di provvedimenti da alcuni decenni. Non esiste soltanto la libertà personale tra i diritti che vengono a mancare quando si finisce in carcere. Infatti, tra le pene accessorie, in qualche modo tenute relegate ai bordi della coscienza, c’è anche la perdita del diritto alla salute, con un quadro complessivo nettamente peggiorato da quando la responsabilità è passata dal sistema carcerario alle Asl. Questi dati sono emersi nell’ultimo convegno della Simpse, la Società italiana di medicina penitenziaria, durante il quale è stato sottolineato come il 60-80% dei detenuti abbia problemi legati allo stato di salute. A far diventare le prigioni veri e propri lazzaretti , sarebbero i soggetti a rischio, quali i tossicodipendenti, che rappresentano il 32% del totale, ma anche il noto problema del sovraffollamento, che contribuirebbe a rendere facili i contagi, nonché l’assenza di controlli regolari, tanto da rendere poco chiara la dimensione del fenomeno, essendo impossibile controllarlo con esattezza. Si tratterebbe di dati parziali, in quanto non esiste allo stato attuale un Osservatorio Epidemiologico Nazionale, stando a quanto spiegato dal presidente del Simpse, Sergio Babudieri, il quale precisa che solo due Regioni hanno attivato quello territoriale. Il risultato? Pochi elementi, per una situazione dove appare chiaro come il diritto alla salute sia compromesso, vista anche la reticenza da parte dei detenuti a comunicare all’esterno eventuali loro problemi per non apparire fragili. Attenendosi a quello che emergerebbe dalle stime , oltre i tossicodipendenti che rappresenterebbero il 32%, il 27% avrebbe un problema psichiatrico, il 17% deficit osteoarticolari, il 16% difficoltà cardiovascolari, mentre il 10% problemi metabolici e dermatologici. Tra le malattie infettive vi sarebbe l’epatite C, la più ricorrente (32,8%), seguita da tbc (21,8%), epatite B (5,3%), hiv (3,8%) e sifilide (2,3%). Tuttavia, a parere degli esperti, si potrebbe facilmente fare un passo avanti riscrivendo la legge del 2008, quella che ha trsferito le competenze al Servizio sanitario nazionale, attraverso l’istituzione dell’Osservatorio, contribuendo a migliorare la formazione dei 3-4mila operatori sanitari carcerari. Naturalmente un ruolo determinante spetta a Governo e Parlamento, come giustamente ha avuto modo do precisare il presidente dell’Istituto superiore di sanità, Fabrizio Oleari, contando sulla disponibilità del sistema sanitario. Sono 64.323 i detenuti reclusi, riportando nel totale dei detenuti anche coloro i quali usufruiscono della semilibertà, all’interno dei 205 istituti di pena italiani, rispetto ad una capienza regolamentare di 47.668 posti. I dati sono desumibili dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) ed aggiornati al 31 ottobre 2013. Poco meno di un terzo, ossia 22.770 sono i detenuti non italiani (che rappresentano il 35,1% della popolazione carceraria). Minima è la componente femminile, il 4,3% del totale dei detenuti ovvero 2.821 donne (di cui 1.102 straniere). Al 30 giugno 2013, sono 52 i bambini sotto i 3 anni che vivono in carcere con le madri (51 detenute). Stando a quanto riportato dall’Istat (dicembre 2012) nel mondo le persone detenute erano circa 10 milioni, in gran parte già condannate. Il mondo carcerario non è l’unico problema, con i suoi 60mila detenuti, potenziali portatori di virus in grado di trasferirsi facilmente all’esterno, poiché migliaia di loro rimangono all’interno delle strutture carcerarie anche meno di una settimana, mostrando una realtà dove il sovraffollamento, di cui tanto si discute, non sia l’unico ostacolo da risolvere, essendo compromessa anche la salute e le condizioni igieniche, ora diritti meno tutelati di prima.


19 Luglio 2014

Categoria : Salute & Benessere
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