Due secoli e mezzo di insegnamenti


Di Carlo Di Stanislao
Si è aperta il 28 ottobre e durerà sino al 12 febbraio per illustrare, attraverso una serie di documenti autografi di Beccaria, Pietro Verri e Manzoni, in gran parte conservati presso la Biblioteca Ambrosiana, la Fondazione Raffaele Mattioli e la Braidense il percorso culturale, storico e sociale cheha portato Beccaria a produrre quel testo, tappa decisiva nella riflessione su cosa sia un “delitto” e del suo rapporto con la “pena”.
Il titolo della mostra è eloquente: Un laboratorio europeo: la riflessione sulla giustizia a Milano da Beccaria a Manzoni”, ideata per i 250 anni dalla morte del grande giurista, riflessione sulla giustizia che ancora offre spunti di grande interesse ed attualità, attraverso l’esposizione di documenti manoscritti e a stampa di eccezionale interesse, riferiti alla pratica allora normale della tortura e della pena di morte: i Registri dei condannati in cui dal 1471 in poi venivano registrate le sentenze capitali; gli estratti dei processi agli untori del 1630; i Regolamenti provvisionali su Sistema dell’ergastolo a Milano del 1771 in cui si legge delle disposizioni per gli aguzzini e per gli assistenti spirituali e delle condizioni in cui dovevano essere tenuti i condannati; il Ristretto della Prattica Criminale per lo Stato di Milano che offre indicazioni sulle modalità del processo penale in Lombardia; oltre a tanti testi giuridici e a pamphlet che si espressero, invece, contro la tortura già prima dell’opera dei giovani intellettuali europei dell’Accademia dei Pugni tra cui i fratelli Verri e il Beccaria stesso che volevano “togliersi fuori dall’aria soffocante di vecchia provincia italiana, per vivere, non da comparse ma da comprimari, il dibattito culturale europeo“.
Ovviamente sono in esposizione anche molti degli scritti autografi di Beccaria, Pietro Verri e Manzoni, con un percorso arricchito da una documentazione iconografica poco nota, affiancati da una serie di conferenze che si terranno nella Sala Teresiana della Biblioteca Braidense dal 19 novembre fino al 5 febbraio 2015.
La mostra è allestita presso la Biblioteca Braidense di Milano, mentre nella Pinacoteca Ambrosiana, nelle sale 2 e 3, sono esposti cimeli personali e familiari del Beccaria, l’editio princeps del suo capolavoro e numerose sue opere manoscritte.
Straordinario esponente del secolo dei lumi, ciò che più colpisce, come nota Renato Pasta, nell’opera di Beccaria, non è soltanto la testimonianza esemplare e fondante del droit politique che ontribuì a fissare i cardini della civiltà giuridica europea (e americana), con criteri quali la proporzionalità fra delitto e punizione, la responsabilità personale del reo (che non ne coinvolge la famiglia), la prontezza, l’inderogabilità e la moderazione delle pene, la non interpretabilità della legge sovrana,il riuto della tortura e della pena di morte; ma soprattutto la enorme capacità di scrittura e l’essere coerentemente rimasto immune dal mito ingenuo del ‘progresso’, contrapponendovi il senso drammatico della complessità del reale e delle sue dinamiche ed il dubbio il dubbio sulla legittimità del sacrificio della generazione presente al benessere e alla felicità delle future, che compongono un nucleo di verità che riconduce al centro dell’Illuminismo, alle cautele epistemologiche e di metodo del Discours preliminaire (1751) di d’Alembert per l’Enciclopedia, alle ragioni del dubbio, ai limiti e alla fallibilità della raison, il cui riconoscimento impone la tolleranza; accanto alle rivendicazioni rousseauiane dei diritti e della sanità del cuore, prossimo al tema della perfectibilité, ritroviamo i “passi lenti”, storicamente determinati in assenza di ogni teleologia, con cui, già secondo Robert-Jacques Turgot, l’umanità migliora.
Per Beccaria l’incivilimento è cosa fragile, rischiosa, esposta a sfide che possono rivelarsi incontrollabili e tutto questo lo vediamo ancora oggi attorno a noi.
Già nel lontano 1998, nel bellissimo saggio “Attualità dell’Illuminismo milanese: Pietro Verri e Cesare Beccaria” edito da Sellerio, Gianfranco Dioguardi aveva messo in evidenza quanto attuale fosse il pensiero dei grandi illuministi lombardi del XVIII secolo i quali, soprattutto, cercarono una via laica alla giustizia, sotto il profilo del superamento dell’istituto del supplizio, sul quale si erano a lungo concentrati i conforti religiosi, sotto il profilo dei rapporti – anche familiari – con il genio cristiano di Manzoni e, infine, sotto il quello delle reazioni che le loro tesi suscitarono negli ambienti religiosi ed ecclesiali.
Nel 1776 Verri elabora le “Osservazioni sulla tortura” cui un cinquantennio dopo, con la “Storia della colonna infame”, si richiamerà Manzoni, che di Beccaria è nipote.
Entrambi, Verri e Manzoni, si misurano, attraverso gli stessi documenti, con un episodio della storia di Milano di cui la città deve come liberarsi: si tratta del processo agli untori del primo Seicento. Un “delitto impossibile” che rappresenta il concentrato dei difetti sociali e morali del mondo che si vorrebbe trasformare e superare. In questo percorso storicamente connesso, da Beccaria a Manzoni, la critica razionale si unisce all’esigenza dell’analisi storica e pone di per sé il problema dei modi della propria comunicazione, della ricerca di una forma narrativa, e dell’intreccio tra verità raccontata e verità reinventata, in un percorso che sfocia nel primo romanzo italiano moderno, ma che finirà per approdare alla sua stessa crisi.
Tornando alla mostra milanese, il catalogo è a cura di Giorgio Panizza pubblicato sulla Sivana Editore ed è allestica, come detto nella Biblioteca Braidense di Via Brera, nella Sala Maria Teresa, aperta, con ingresso libero, dal lunedi al venerdi, dalle 9.30 alle 13.30 ed il sabato dalle 9.30 alle 13.00.


07 Novembre 2014

Categoria : Cultura
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