Premio Vasto


Vasto – (com) -L’ultimo secolo ha registrato lo smarrimento di una facoltà estetica in grado di articolare la relazione tra soggettività e natura. Viviamo in un’epoca che ha esteso i confini dell’immaginabile, e nel contempo ha fatto deperire le forme di esperienza della natura non inscrivibili nel progetto tecnologico. Del resto, il fatto che il sentimento del bello naturale vada scomparendo, non comporta necessariamente una pacificazione dell’animo umano di fronte alla natura, come ha sottolineato anche Kenneth Clarck nel suo fondamentale saggio sul Paesaggio nell’arte, mettendo in evidenza la scomparsa della percezione della natura come unità e le connotazioni apocalittiche della civiltà contemporanea. In questi ultimi anni la natura non è sembrata soltanto troppo grande o troppo piccola per la nostra immaginazione: è anche sembrata priva di unità. In questi ultimi anni abbiamo anche perduta la fede nella stabilità di ciò che con fiducia chiamavamo «l’ordine naturale»; e, quel che è peggio, sappiamo di essere noi stessi in possesso dei mezzi per distruggere quell’ordine.
Perdita di unità, frammentarietà, dunque, e paura. Una paura già provata da Leonardo da Vinci, ma che non era, peraltro, uno stato d’animo soggettivo di Leonardo: era la stessa che ispirò le apocalissi del tardo Quattrocento e le splendide allucinazioni di Grünewald; una paura che, sottolinea Clarck, sembra impossessarsi dell’uomo occidentale circa ogni cinquecento anni. Nel Novecento, essa sembra essere giunta con circa cinquant’anni di anticipo, nonostante (o a causa di) tutta una serie di conoscenze e innovazioni tecnico-scientifiche.
La consapevolezza che il mondo può finire, che esistono dinamiche in grado di cancellare le forme di vita conosciute, che il pianeta giace sotto l’aleatorietà di una catastrofe, s’insinua nella scena rutilante della tecnologia tuttofare e dell’intelligenza artificiale, restituendo all’immaginazione e alla memoria ormai sopita l’idea di un cosmo oscuro e rarefatto, incombente di stelle collassate, buchi neri e supernovae. La fine dell’esperibilità della natura, al di fuori della mediazione tecnico-scientifica o delle rappresentazioni dell’immaginario consumistico – sempre più evidente dal secondo dopoguerra ad oggi – si accompagna a uno spostamento del senso – e dell’indagine sul senso – dello spazio, nella enigmatica vuotezza costellata di astri dell’universo oltre la terra, e insieme nell’universo dell’interiorità. L’atteggiamento estetico verso la natura e la rappresentazione dello spazio in quanto paesaggio, sono dunque oggi più che mai problematici.
Proprio sul recupero di un’immagine del paesaggio, e insieme sulla consapevolezza della sua non-univocità e della sua inevitabile quanto paradossale anti-referenzialità, sembra fondarsi la forza di molta “pittura di paesaggio” degli ultimi cento anni : una ricerca sul paesaggio che sfida quella facile e irenica “oleografia” della natura (la descrittività “realistica” ?) di cui parlava Musil, prendendo coscienza, talora con sferzante ironia, dell’“impossibilità” del paesaggio nell’epoca contemporanea. Di qui l’interesse storico-critico di questo tema, al quale si è voluta dedicare la cinquantunesima edizione del Premio Vasto: un panorama di 47 artisti, con opere datate dai primi anni del Novecento ad oggi, poste anche in un ideale confronto/dialogo con quelle di Filippo Palizzi, noto per i suoi paesaggi con figure, al quale il Premio Vasto intende rendere omaggio con lo stile che lo contraddistingue.


19 Luglio 2018

Categoria : Cultura
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