Orizzonte degli eventi – Limitare Internet


(due interventi di Carlo Di Stanislao) – Lo scorso 31 marzo il regista Daniele Vicari ha presentato a Firenze, presso il mitico cinema Cinecittà Cineclub, il suo film “L’orizzonte degli eventi” (2005), protagonisti Valerio Mastandrea, Gwenaelle Simon, Francesca Inaudi e Giorgio Colangeli, ambientato in Abruzzo, precisamente sul Gran Sasso dove, sotto la montagna è presente il laboratorio di fisica nucleare e astrofisica, noto come IFN. Qui lavora un ragazzo che conduce una ricerca con altri colleghi sui neutrini, le particelle infinitesimali in grado di attraversare i solidi. Ma la smania del successo, di essere comunque il più bravo, lo induce a comportamenti sleali e scorretti, falsificando i dati del suo lavoro. Scoperto, entra in crisi, tenta il suicidio e si trova a confrontarsi con la dura realtà esterna, quella di un pastore macedone che superata la prima diffidenza lo ospita nel suo rifugio. Fuori dal ventre della montagna l’aria è tersa e pulita. Ma lo scontro rimane duro e irrisolto. Il film non cerca scorciatoie, non dà assoluzioni. Il protagonista deve fare i conti con se stesso e il paesaggio che lo circonda. Ai silenziosi abitanti di questa zona spesso inaccessibile d’Abruzzo, uomini che vivono isolati in condizioni di estrema povertà e sfruttamento, lontano dalle loro case e dalle famiglie, Vicari aveva già dedicato due documentari: “Uomini e lupi” e “Bajran”. Il prossimo 21 aprile “L’orizzonte degli eventi”, introdotto da una scheda di Piercesare Stagni, chiuderà la rassegna, realizzata dall’Istituto Cinematografica La Lanterna Magica e patrocinata dall’Accademia dell’Immagine, la Film Commition e la Provincia, composta da sei film girati a L’Aquila e dintorni fra gli anni ’50 del secolo scorso e questo nuovo millennio. Daniele Vicari (classe 1967), regista e sceneggiatore nel 2003, con Velocità Massima, in concorso alla mostra del cinema di Venezia, vinse il David di Donatello per il miglior regista esordiente e dopo questo film, nel 2007, con il documentario Il mio paese, ha ricevuto un secondo David di Donatello per il miglior documentario di lungometraggio. Il titolo del film selezionato per la rassegna aquilana (al posto di !”Parenti Serpenti” di Monicelli, escluso per ragioni distributive), si rifà ad una locuzione della fisica che, nell’accezione più diffusa, si ricollega ai buchi neri, secondo cui lo spazio ed il tempo formano un unico complesso con quattro dimensioni reali, il quale viene deformato dalla presenza di massa (o di energia). Un invito, per noi aquilani, ad uscire dal buco nero di coscienza del dopo terremoto, per ricostruire in primo luogo noi stessi e la nostra coesione e dignità, dopo l’entropia distruttiva del terremoto. Molto legato a L’Aquila, il siciliano Vicari ha prodotto, con Valerio Mastandrea , la Vivo Film, la Minollo Film e Relief, in collaborazione con The Blog TV e Woolrich, il documentario L’Aquila Bella Mè”, che racconta la dura e complessa storia della ricostruzione della città de L’Aquila, tramite un cast tecnico formato da giovani filmmakers abruzzesi, che conoscono la realtà locale ed hanno vissuto a contatto con la popolazione. Il documentario, di Pietro Pelliccione e Mauro Rubeo, presentato con successo all’ultima edizione del Festival del cinema di Roma, il documentario è un lucido (e immediato) ritratto di ciò che è avvenuto nelle ore successive al disastro, delle promesse e delle decisioni dei politici – locali e nazionali – e del lavoro della magistratura. Il 9 aprile scorso il film ha aperto, a Firenze, “Italiani Brava Gente”, un festival, come recita il sottotitolo, “per capire la gente” (vedi: http://www.italianibravagente.info/2010/programma.php.)

Limitare Internet
Libertà di espressione ma con limiti di ordine morale. Depositato oggi 13 aprile, la sentenza (http://speciali.espresso.repubblica.it//pdf/Motivazioni_sentenza_Google.pdf) , emessa due mesi fa, con cui il Tribunale di Milano, condannava in proprio a sei mesi di reclusione alcuni dirigenti di Google (David Drummond, George Reyes e Peter Fleischer), costretti a rispondere dei contenuti caricati da altri utenti. L’upload risale al 2006 e il filmato (che vedeva coinvolti quattro studenti di un istituto di Torino) è rimasto on-line per alcuni mesi finché il padre della vittima, a seguito della denuncia alle autorità, non è riuscito a farlo eliminare. Una sentenza storica, quella depositata oggi, che invita alla riflessione sui limiti alla libertà del Web. Il ricorso in appello del colosso di Mountain View, per difendere le proprie attività online, non si preannuncia semplice. La condanna, infatti, “attacca i principi stessi su cui si basa Internet”, afferma Google, senza i quali non potrebbero essere conseguiti tutti i benefici economici, sociali, politici e tecnologici che il Web consente di raggiungere. Su quest’ultimo punto le oltre cento pagine della relazione conclusiva parlano chiaro: “Google Italy trattava i dati contenuti nei video caricati sulla piattaforma di Google Video e ne era quindi responsabil” ed di conseguenza la dirigenza esprimeva “chiara accettazione consapevole del rischio di inserimento e divulgazione di dati, anche e soprattutto sensibili, che avrebbero dovuto essere oggetto di particolare tutela. Il giudice Oscar Magi, autore della sentenza, scrive che: “non esiste la sconfinata prateria di Internet dove tutto è permesso e niente può essere vietato, pena la scomunica mondiale del popolo del web” ma che “esistono leggi che codificano comportamenti che creano degli obblighi che ove non rispettati conducono al riconoscimento di una penale responsabilità”. Il responsabile dell’ambasciata americana in Italia, si è detto deluso del verdetto espresso, che mina alla base la libertà di Internet, condizione da sempre e totalmente difesa dal governo e dai guidici americani, anche se con alcune, recenti eccezioni. Il 7 aprile scorso, infatti, con decisione unanime, tre giudici della corte d’appello federale del distretto di Columbia, hanno stabilito che la Federal Communications Commission (Fcc) si è spinta al di là della sua autorità, quando nel 2008 ha multato Comcast Corp. per aver deliberatamente rallentato il traffico internet per alcuni consumatori che utilizzavano un programma di condivisione per scaricare file molto pesanti.I sostenitori della neutralità della rete ritengono che le comunicazioni non possano essere discriminate a seconda dei contenuti. Alcune grandi compagnie di telecomunicazioni pensano invece che si possano attuare restrizioni per un certo tipo di contenuti web, o fare pagare un sovrapprezzo per farli transitare ad alta velocità, creando così di fatto corsie preferenziali per la navigazione online. . Secondo alcuni analisti, la Fcc potrebbe premere sul Congresso affinché emani in materia leggi chiare visto anche che l’attuale presidenza Obama è favorevole alla net-neutrality. Con l’espressione “neutralità della Rete” o “net neutrality” si fa riferimento ad un principio secondo cui la rete a banda larga deve essere priva di restrizioni arbitrarie applicate sui dispositivi ad essa collegati e sulle modalità con cui essi operano. Il fornitore Internet non dovrebbe fare differenza alcuna tra i vari tipi di “contenuti” che transitano attraverso la sua rete né applicare discriminazioni su dati, mittenti e destinatari. La normativa italiana non si esprime in maniera decisa sul concetto di “neutralità della rete”. C’è però un principio di base che continua ad essere valido: gli utenti hanno diritto alla massima trasparenza. Il provider, quindi, è tenuto ad informare i propri clienti circa l’applicazione di eventuali restrizioni sul traffico Internet. In ambito europeo si sta lavorando al cosiddetto “telecoms package”, un insieme di direttive volte a disciplinare in maniera organica il sistema delle telecomunicazioni. Alcuni emendamenti proposti, peraltro molto criticati, permetterebbero la violazione della “net neutrality” in talune circostanze. In definitiva, la questione ormai da tempo in discussione è se la sovranità sulla rete debba essere esercitata dai
singoli stati o da un organismo internazionale, oppure deve essere lasciata come gestione ed evoluzione, allo stato libero, con il rischio di applicare solo la legge del più forte o del più cinico. Ma le cose, sul tema, non sono davvero semplici. Il Giudice Oscar Magi, nelle “considerazioni finali” che ha ritenuto di aggiungere alla “sua” Sentenza data la “grande ricaduta mediatica” scrive, parafrasando Shakespeare: “too much ado about nothing”; ma, forse, ha prodotto l’effetto contrario, creando i presupposti per uno “scontro tra culture” e rimettendo in discussione principi di diritto sui quali riposano gran parte delle dinamiche della comunicazione. Sicchè oggi, dopo la sentenza di Milano centinaia di operatori – piccoli e grandi – si ritrovano a domandarsi quali siano le regola del diritto che, nel nostro Paese, governano la loro attività.

LiberoVideo – Video presenti in questa mail
Caricamento …
Si è verificato un errore contattando il server. Riprovare più tardi. YouTube – Video presenti in questa mail
Caricamento …
Si è verificato un errore contattando il server. Riprovare più tardi.


13 Aprile 2010

Categoria : Cultura
del.icio.us    Facebook    Google Bookmark    Linkedin    Segnalo    Sphinn    Technorati    Wikio    Twitter    MySpace    Live    Stampa Articolo    Invia Articolo   




Non c'è ancora nessun commento.

Lascia un commento

Utente

Articoli Correlati

    Nessun articolo correlato.