Abbazia di San Clemente a Casauria


L’Abruzzo è ricco di edifici religiosi dalle architetture meravigliose e chi ha avuto l’opportunità di visitare l’abbazia di San Clemente a Casauria non può che riconoscere la sua elegante e raffinata maestosità. Edonista per eccellenza, lo stesso d’Annunzio celebra questo luogo nei versi dell’opera “Trionfo della Morte”, pensando alla sepoltura della madre e scrive “Voglio condurti a un’abbazia abbandonata, più solitaria del nostro Eremo, piena di memorie antichissime: dov’è un gran candelabro di marmo bianco, un fiore d’arte meraviglioso, creato da un artefice senza nome…Dritta su quel candelabro, in silenzio, tu illuminerai col tuo volto le meditazioni della mia anima”.

L’abbazia di San Clemente a Casauria fu costruita dall’imperatore Ludovico II nell’anno 871 per un voto che egli fece durante il periodo di prigionia nel ducato di Benevento. La chiesa fu dapprima dedicata alla Santissima Trinità e dall’anno 872 a San Clemente, quando i resti del santo vennero lì riposti.
L’attuale conformazione della chiesa è però frutto di numerose ricostruzioni e modifiche, poiché nei secoli, i saccheggi dei saraceni e il sisma del 1348 misero in pericolo l’esistenza stessa dell’edificio sacro, fino all’ultimo tragico evento del 6 aprile 2009, quando il terremoto di L’Aquila ha causato gravi danni alla struttura, con la conseguente chiusura al pubblico fino a quando non sarà compiuto il restauro.
Un viale alberato conduce al portico, disegnato da colonne e capitelli che incorniciano la splendida facciata su cui si aprono tre portali di cui, quello centrale, presenta la lunetta e l’architrave con raffigurazioni della vita di San Clemente e dell’abbazia e ha la porta in bronzo composta da 72 formelle che raffigurano immagini bibliche. Sul portale destro, invece, la lunetta raffigura la Madonna con Bambino, mentre sulla lunetta del portale sinistro è raffigurato l’Arcangelo San Michele che uccide con la lancia il drago; il culto di San Michele arrivò in Abruzzo dalla Puglia tramite i pastori che transumavano da una regione all’altra e che consideravano il santo custode dei monti e dei luoghi alti.
Sulla facciata, le arcate laterali si uniscono nel punto in cui si vede il leone di San Marco, mentre l’arco centrale presenta raffigurazioni di personaggi biblici e storici e sui capitelli delle colonne si intravedono i 12 apostoli. A sinistra del portico si trovano i resti di quella che doveva essere la torre campanaria fatta costruire dall’abate Oldrio intorno al 1150: una costruzione in tufo che possedeva una volta a botte, probabilmente crollata in seguito al terremoto del 1349.
Internamente l’edificio si compone di tre navate con abside semicircolare che conducono prospetticamente verso l’altare maggiore, sollevato rispetto al resto dell’ambiente e costituito da un sarcofago di epoca paleocristiana, di datazione incerta che va dal 320 d. C. alla fine del IV – inizio del V secolo. Frontalmente esso si compone di 5 pannelli, dove quelli pari presentano un motivo tipico dei monumenti funerari romani e quelli dispari raffigurano personaggi e vicende biblici.
Un altro sarcofago si trova appoggiato al muro nella navata di sinistra ed è stato portato qui, dalla chiesa di Castiglione a Casauria nel 1931. Realizzato nel quattrocento, esso presenta uno stemma araldico sul lato più lungo e l’epigrafe indica che la figura sdraiata con le mani adornate da un anello e contenenti un libro è quella di Berardo Napoleoni, vescovo di Boiano dal 1364 al 1390.
Di notevole pregio è il candelabro per il cero pasquale, posto su una base con la forma di ara con teste di leone poste ai quattro angoli: risalente alla fine del IV secolo, esso molto probabilmente proveniva da un tempio pagano, mentre la colonna in pietra di Pescocostanzo, ha sostituito quella originale dopo il terremoto del 1349. Il capitello posto nella parte superiore si compone di otto foglie e sostiene una edicola a due piani che in origine doveva avere 12 colonnine, di cui oggi ne restano solo 6, e che rappresentavano gli apostoli mentre il cero era simbolo di Gesù Risorto.
L’ambone si trova tra il terzo e il quarto pilastro a destra della navata centrale ed è considerata un’opera di vero pregio artistico. Poggia su quattro colonne, i cui capitelli presentano decorazioni di palme, con gli architravi ornati con simboli pagani e cristiani: un tralcio di vite che nasce dalla bocca di un drago e una iscrizione che invita il predicatore ad una vita coerente con quanto predicato, decorazioni floreali e l’aquila che posa i suoi artigli su un libro poggiato su un leone (aquila e leoni, simboli degli evangelisti che probabilmente erano accompagnati anche dalle altre due icone, il bue e l’angelo, andate distrutte nel terremoto del 1349).
Il ciborio è sorretto da quattro colonne posate su una predella che riporta una iscrizione secondo la quale, oltre ai resti di San Clemente, erano qui conservati anche quelli di San Pietro e San Paolo e termina in una piramide ottagonale, dove all’interno della cupola si può vedere Cristo Pantocrator. Tre delle quattro colonne hanno i capitelli ornati con palme, mentre il quarto capitello è ornato da foglie di una consistenza più massiccia e il prospetto si compone di sette formelle che raffigurano la vergine con due angeli ai lati e i quattro evangelisti. Nella facciata posteriore è raccontata la storia dell’abbazia; l’arco di sinistra raffigura una testa con tre volti, due dei quali sono Adamo ed Eva mentre nell’arco di destra ci sono due angeli che tengono uno stemma.
La cripta è stata costruita con materiale di risulta proveniente da preesistenti edifici romani, come testimoniano i quattro capitelli corinzi posti nell’abside e la colonna militare contraddistinta da una iscrizione dedicata a Valentiniano, Valente e Graziano.
L’edificio è rialzato e si compone di nove navate longitudinali e due trasversali, con le volte a crociera. Un tempo conteneva ben tre altari, di cui oggi ne resta visibile solo uno e i due recinti dell’abside, separati da un’intercapedine, hanno creato non pochi dibattiti sulla loro epoca di esecuzione. Il reliquario è un’urna in alabastro, dove nell’anno 872 l’imperatore Ludovico II depose le spoglie di San Clemente e che conteneva anche le reliquie di San Pietro e San Paolo. L’urna fu ritrovata nel 1104 dal cardinale Agostino e poi profanata nel 1799 dalle truppe francesi che la danneggiarono e devastarono la chiesa. Pier Luigi Calore, amico di d’Annunzio la recuperò per pure caso nel 1891 durante i lavori di restauro, praticando un foro nell’altare.

Maria Orlandi


17 Giugno 2010

Categoria : Turismo
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