PM Mantini: “Bussi, sporca vicenda, il vile denaro è il filo rosso della vergogna”


Pescara – Per lei tutti sono da processare, e c’è un filo rosso della vergogna, quello del denaro, che lega la sporca vicenda della discarica tra Bussi e Popoli a complicità, omissioni, silenzi, inspiegabili attese. An che quando si sapeva di poter intervenire. E’ la PM Anna Rita Mantini, nella foto, che con 4 ore di requisitoria incalzante e sentita, dura e documentata, ha chiesto al giudice delle indagini preliminari Luca De Ninis il rinvio a giudizio di tutti gli imputati nel processo in corso a Pescara: 27 persone. Rinvio a giudizio per tutti i reati contestati. La discarica (nella foto in basso l’area vista dall’alto e delimitata) venne alla luce solo nel 2007, ma esisteva da anni ed aveva avuto (come ha tuttora, non essendo cominciata alcuna bonifica) la potenziale possibilità di avvelenare terra e acque. La discarica dei veleni, la più grande mai trovata in Europa, e per di più nel cuore di una regione che pomposamente si autodefiniva “verde d’Europa”, era a due passi dal polo chimico di Bussi, ma anche da centri abitati, scuole, strade, un ospedale. E soprattutto da chi avrebbe dovuto vigilare e per decenni chiuse occhi, naso e orecchie. Tra gli imputati gli ex amministratori della Montedison, l’ex presidente dell’Aca Bruno Catena, e l’ex presidente dell’Ato Giorgio D’Ambrosio. Mantini ha parlato, appunto, di un “filo rosso della vergogna” che lega sia la Montedison che gli amministratori di Aca e Ato, finalizzata a non far conoscere, e a non far sapere a chi non sapeva che c’era l’inquinamento, per non creare allarmismi. Dopo aver riscostruito le vicende della Montedison e aver parlato della sua politica ambientale il pm ha sostenuto che si sapeva della contaminazione dell’acqua a partire dagli anni ’90 e dal ’94 sarebbe cominciata l’opera finalizzata a nascondere e falsificare dati, mantenendo cosi’ una situazione “di disastro”. Si sosteneva che l’acqua fosse potabile perche’ la legge prevedeva l’esame solo di determinati parametri, quelli sulla potabilita’. Per il pm, pero’ non ci si puo’ nascondere dietro quei parametri. E’ evidente, sempre per il pm, che non si cercassero appositamente le sostanze e i parametri inquinanti perche’ si sapeva di poterli trovare, e ci si nascondesse dietro il dato normativo. L’acqua avvelenata, ha sostenuto, veniva miscelata con quella buona del Giardino ma probabilmente nessuno l’avrebbe bevuta perche’ e’ come bere l’acqua di una pozzanghera mischiata con quella buona. Tutto sarebbe stato messo a tacere per evitare investimenti sul sito inquinato per cui “il filo rosso” di questa vicenda e’ “il vile denaro”. Intanto il legale di Giorgio D’Ambrosio ha presentato richiesta di rito abbreviato subordinato a una perizia per stabilire se fosse stato piu’ rischioso, nel 2007, chiudere i pozzi Sant’Angelo e lasciare la vallata a secco o erogare l’acqua per qualche mese cercando nel frattempo una soluzione. Richiesta respinta dal gup. Tra i reati figurano avvelenamento delle acque, disastro doloso, commercio di sostanze contraffatte e adulterate, delitti colposi contro la salute pubblica, turbata liberta’ degli incanti e truffa.


02 Novembre 2010

Categoria : Cronaca
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