“La storia siamo noi”


(di Francesco Di Luca) - (Nelle foto: l’ultimo Natale nell’altra vita, 2008 piazza Duomo – Il Natale al ristorante La Mimosa di Pizzoli nel 2009 – Commiato: andare via? ) – Certamente è troppo presto. Troppo presto per scrivere la storia di ciò che è stato all’indomani del sisma. Si è tanto parlato, tanto narrato delle storie personali ante e post 6 Aprile. Ciascuno e me in prima persona si è raccontato. Ognuno ha espresso i propri dubbi, le proprie ansie, ciascuno parlando di se ha voluto in qualche modo esorcizzare le sue parole. Molti, non tutti per la verità, nel mentre raccontavano si sono accorti di essere rimasti soli, di aver smarrito quella collettività urbana in cui sono nati e cresciuti; gli amici, le abitudini, i luoghi d’incontro e di chiacchiera, gli odori ed i sapori del tempo non troppo lontano. Taluni, atterriti e incoscienti, per mesi si sono chiesti il senso di ciò che è avvenuto. Si sono chiesti perché tutto l’ambiente di cose materiali ed immateriali che li circondava è mutato in una notte. Si sono chiesti quale futuro li aspettava “domani”. Si cono chiesti con quale forza sarebbero andati avanti. Tante domande e quasi mai una risposta, un barlume di certezza a spianare l’orizzonte prossimo.
Ed ecco qui ormai il secondo Natale fuori di casa. Il secondo Natale dell’Aquila post-sisma è arrivato. Ogni ricorrenza, ogni festività ci parla del tempo che è passato, ci parla della storia maturata dalla nostra comunità e dai singoli individui. Ecco che il paradosso tanto scongiurato emerge persino dalle battute di una trasmissione televisiva che fa il 30% di share e che unisce gli italiani nei distinguo, negli elenchi di storie diverse, non omologate.
Restare o andare via.
Non accettare di aver perso una città come L’Aquila, di aver perso le proprie radici e la propria storia di luoghi, di abitudini, di cittadini e andare via. Andare via raccogliendo ciò che ti rimane o semplicemente restando ma con la rassegnazione che le crepe fisiche e morali vadano coperte, anziché curate e rimarginate nel profondo.
Viceversa restare. Restare qui ad aspettare, a credere che il centro storico di questa meravigliosa città sia riedificato così com’era e che tutti si possa tornare a passeggiarvi dentro. Agire, sgomitare, combattere con tenacia infinita per vedere riconosciuti i diritti, le aspettative nostre e delle generazioni future. Rimanere senza arrendersi ad una idea di città nuova, di “new town” che non è nostra, che non ci appartiene e che giornalmente si popola di gente diversa da quella che vi ha vissuto per decenni. Rimanere perché i nostri vecchi non debbano morire esuli in città diverse da quella che avevano scelto per invecchiarci serenamente.
Restare qui con noi stessi, con il coraggio della testimonianza e dell’azione di uomini, di cittadini, di abruzzesi tenaci e mai vinti. Restare come restarono i nostri padri che nel 1700 riedificarono una città nuova e più bella di prima. Certo, mi si obietterà, quelle epoche così lontane avevano il sapore di una vita assai più semplice e austera. Meno esigenze e bisogni, meno ambizioni, tutto molto meno di ciò che eravamo noi prima del sisma e di ciò che rimane di noi ora, dopo il sisma, pur sempre cittadini d’un mondo globale, membri assoggettati di comunità occidentali del Dio “Apparire”.
La scelta è un lusso per i più. Chi può permettersi il lusso della scelta forse ha già scelto da tempo e ora commenta quasi infastidito il disagio di chi ancora questa scelta non può farla.
Rimanere o andare via per non sentirsi più soli.
L’Aquila e gli aquilani son rimasti soli. La luce dei riflettori dei media s’è spenta tanto tempo fa. E allora, per non morire, chiamiamo l’Italia; lo facciamo a intervalli più o meno regolari, quando sentiamo troppo vicina la ripresa dei versamenti di imposte e tributi, la chiamiamo a gran voce. La chiamiamo nella certezza che la parte sana di questo paese, che la sua opinione pubblica sia ben ricettiva ai segnali di chi è in difficoltà, di chi chiede aiuto. La chiamiamo tutti insieme in 20000. Sotto la pioggia del nostro autunno invernale. La chiamiamo con l’aiuto degli intellettuali più in vista della nostra città e del nostro paese.
Altre volte alla chiamata degli aquilani le istituzioni nazionali e locali, gli organi di governo hanno risposto con decreti di proroga, con palliativi beceri da “italietta” degli anni cinquanta. Prorogare per non decidere. Prorogare per calmare le acque, mettere a tacere i dissidenti e riportare ordine e pace. L’ordine e la pace dell’opinione pubblica nazionale per gli aquilani invece diventano silenzio e solitudine, viatici alla morte sociale ed economica di una città che non vuole mollare, non vuole ritrovarsi tra qualche anno come un paesotto di montagna.
Finchè siamo stati il palcoscenico attonito e silente dell’ascesa del Re, Salvatore e Benefattore del popolo aquilano agli occhi del mondo, con il bene-placito dei grandi della terra accorsi a dormire nella nostra cittadella militare, nessuno dei suoi oppositori interni o esterni si sognava di contraddirne l’operato, le barzellette, le idee bislacche. Oggi che il Re sta per declinare, i suoi oppositori ci usano come l’esempio della disfatta, della politica della cricca, della balla mediatica della politica dell’annuncio di Berlusconi.
Se prima eravamo il palcoscenico della propaganda berlusconiana sono certo che, nostro malgrado, diventeremo succursale della imminente campagna elettorale nazionale dei prossimi mesi. Si userà L’Aquila come sfida elettorale, al pari di quello che accadde per Napoli ed i suoi rifiuti nel 2008. Passata la sbornia propagandistica ed elettorale sappiamo bene cosa ne è rimasto dei rifiuti a Napoli e di quanto, oltre il danno d’un problema di difficile soluzione, sia insopportabile la beffa d’una opinione pubblica compatta nel ritenere questo un problema risolto, da archiviare, relegato al passato remoto.
Occorre rispetto. Occorre che ci governa ora o vorrà farlo domani sappia che la dignità della gente d’Abruzzo, delle persone forti e gentili, non può essere ricambiata con la politica delle proroghe, del tappa-buchi, del rimandare le decisioni per non volersi fare carico di alcuna responsabilità del proprio operato. Il rispetto e la dignità che credo ci siano dovuti esigono solamente il rispetto di impegni stringenti e non la declamazione di annunci impossibili e irrealizzabili.
I rifiuti ancora sono lì nel centro dei vicoli del capoluogo partenopeo. E così qui all’Aquila le macerie ancora soffocano ogni tentativo di ricostruire; i ritardi della fase progettuale post-emergenza sono pesanti come macigni. Le case della new-town costruite troppo in fretta iniziano a degradarsi. La ghettizzazione sociale e civile dei quartieri del progetto C.A.S.E. sparsi in un territorio troppo disomogeneo assume contorni ancora non compresi a fondo.
Persino oggi che le difficoltà della seconda e più lunga fase della ricostruzione della nostra città sono così sotto gli occhi di tutti, taluni esponenti di maggioranza e di governo nei talk-show ed in parlamento si beffano ancora di noi sostenendo a gran voce che all’Aquila va tutto bene. Che tutto è sistemato. Tutto è ricostruito. Decine di albergatori, centinaia di imprese, migliaia di cittadini aspettano ancora che lo Stato li rifonda con gli indennizzi tanto declamati della prima fase emergenziale e c’è chi ha il coraggio di dire che la ricostruzione è a buon punto.
E’ per questo che la misura è colma e alla chiamata all’Italia dell’Aquila e dei suoi cittadini stavolta non si può far finta di niente. La campagna di raccolta firme per la legge di iniziativa popolare è il banco di prova per tutti noi e per tutti quelli che vogliono parlare di noi, vogliono sentirsi vicini a noi ed alle nostre sorti.
Lancio qui la sfida della prossima campagna elettorale nazionale e anche di quella amministrativa che a Marzo riguarderà il nostro territorio.
Questa risposta che gli aquilani si attendono deve essere il fulcro dell’azione dei nuovi amministratori locali e se si vorrà farne un tema vero di campagna elettorale nazionale nei prossimi mesi la città non si tirerà indietro.
L’operazione verità che la parte più viva dell’opinione pubblica aquilana ha messo in campo in questi mesi per mostrare i ritardi, le menzogne, le inefficienze nella gestione del Sisma Abruzzo, al di là e oltre ogni demagogica protesta autoreferenziale e sentimentalista, continuerà anche quando saranno forti le lusinghe degli oppositori del fronte anti-berlusconiano a cedere alla strumentalizzazione politica; ne sono certo.
Bisogna mantenere viva l’attenzione di tutti noi e dell’Italia intera. Bisogna farsi trovare pronti a dimostrare ciò che Berlusconi non ha fatto e che ha impedito che venisse fatto da altri ma, nello stesso tempo, bisognerà esser pronti a riconoscere gli errori propri, quelli venuti dall’interno della nostra comunità, ed a cambiare volti ed idee del governo locale che quasi mai è stato all’altezza dei compiti affidatigli.
La pletora di burocrati commissari, sub-commissari, delegati degli organi di governo lavori per il bene della popolazione, senza se e senza ma. Si sblocchino subito tutti i trasferimenti di fondi (quei pochi che sono stati stanziati dal governo nazionale) agli enti locali che sono deputati alla concessione degli indennizzi per la ricostruzione degli immobili danneggiati. Si mettano in campo azioni politiche di semplificazione della macchina amministrativa che deve operare con semplicità e trasparenza sempre crescenti.
Si inizi veramente una nuova fase di progettualità del territorio colpito dal sisma incentrata sulla partecipazione attiva delle forze sociali ed economiche presenti oggi in campo.
Si dia finalmente il via all’iter parlamentare per una legge nazionale che istituisca una tassa di scopo e che sancisca il diritto dei cittadini aquilani alla proroga da tasse e tributi nella stessa misura in cui altri territori in altri terremoti hanno beneficiato.
Se mai all’attuale governo si sostituisca un governo di interesse nazionale, che si ponga come tema al centro dell’agenda politica nazionale e dell’azione di questo governo quello del sisma della città dell’Aquila; chiedo se ricostruire uno dei venti capoluoghi di regione italiani raso al suolo dal terribile sisma del 6 Aprile non sia un tema di interesse nazionale al pari del rifiuti di Napoli, della legge elettorale, della crisi economica nazionale ed europea. L’Italia vive ormai da quasi due anni con un capoluogo di regione in meno, rispetto a quelli che abbiamo studiato tutti a scuola nelle lezioni di geografia. Immagino che le forze politiche che si richiamano ad un senso di responsabilità per il paese in questa fase così delicata vogliano ripristinare questo capoluogo, ancorché cancellarlo definitivamente dalla cartina geografica italiana.
Questa è la nostra storia. La storia del nostro popolo, di ciò che eravamo e che nostro malgrado non saremo più. La storia d’un capoluogo di regione, di una piccola ma graziosa città di 70000 abitanti che vivevano nella penombra della provincia italiana. A solo un’ora di macchina da Roma, dalla capitale d’Italia e dai suoi affari, dal suo caos vitale, in costante simbiosi e scambio con essa, ma che alla sera si consolavano di riparare sotto le braccia un po’ severe ma sincere delle loro montagne, del loro proverbiale clima freddo.
La storia di un cataclisma naturale che sconvolse questa terra e gli uomini che vi abitavano da sempre, che sconvolse le radici culturali, i monumenti, i segni d’una storia ancora più antica e grandiosa. La storia di tanti silenzi, di tante promesse mancate, di scelte sbagliate e di risorse bruciate nelle stanze dei bottoni, lontano dalla gente cui queste dovevano essere destinate.
La storia di quel che avverrà ancora e che non può essere scritto né in parte immaginato. La storia di chi ha deciso di andar via e di chi vuole, nonostante tutto, restare per sentirsi a casa. La storia dell’Aquila che siamo solo, unicamente noi.


24 Novembre 2010

Categoria : Dai Lettori
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