Natale 2, peggio che nel 2009


L’Aquila – (di Gianfranco Colacito) – Tanti hanno ricominciato a contare gli anni come dalla nascita di Cristo, anno zero… Quello che sta trascorrendo è quindi il Natale 2 rispetto alla fine dell’altra vita e all’inizio della nuova. Se si può chiamare vita… Oggi la città è apparsa semideserta, surreale come uno scorcio urbano di De Chirico, triste fino in fondo ad ogni cuore. Passanti con le mani in tasca nelle strade semivuote, tra vetrine chiuse o rotte, patetici addobbi sulle recinzioni scarne come scheletri, volti tesi e spesso sfiniti, casotti di legno di commercianti che tentano di tornare a qualcosa. Non si sa a cosa. Infatti, il Natale 2 è andato peggio del Natale 1, affari scarsi, gente poca, visitatori quasi nessuno. Solo a sera in qualche zona si è vista un po’ di gente, così, tanto per esserci, per fingere che sia un buon Natale e scambiarsi sempre le stesse domande: “Com’è andata? Dove lo hai fatto, con chi?”. Frasi banali, che nascondono anche un carico di angosce capaci di riemergere dolorose quando è festa, quando in tv gli altri sono negli aeroporti, nelle strade di Parigi, in quelle di New York, oppure in montagna a sciare. Se possibile, questo Natale è stato peggiore: il dolore si è maturato, insediato nelle menti e nei cuori, ha costruito una consapevolezza della situazione che è brutale. Città zero, solo recinzioni, paletti, gabbie di ferro, incastellature che tengono in piedi dei morti di pietra, calce, cemento, ferro, tegole, frammenti disperati di ex. Ex tutto. Almeno avessero cominciato a ricostruire qualcosa – dice qualcuno – avremmo la sensazione che il tempo si è rimesso a camminare. Così tutto pare come quel luogo senza realtà in cui campeggia un orologio piegato ad angolo retto, dipinto dal genio onirico e adimensionale di un maestro surrealista. Il tempo si è piegato e sembra fermo in una dimensione che non è quella nostra, quella che siamo capaci di percepire. Aspettiamo il Natale 3, sperando di riaccendere luminarie da natività su diversi scenari. Sperare è un dovere, anzi un obbligo categorico. Se ce la fate. Lo dobbiamo a chi verrà, se qualcuno verrà. Per i cristiani, è un bambino in una stalla. Per gli altri solo un soffio di vita per tentare di essere simili a quando avevamo un luogo, una città, per abitare, camminare, criticare, litigare, stimare, disistimare, piagnucolare sul nulla, di nulla, come il bambino di Pascoli.


25 Dicembre 2010

Categoria : Cronaca
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