Teatro, Romeo e Giulietta


(di Carlo Di Stanislao) – Quarto appuntamento della stagione 2010-2011 del TSA, incentrato su un classico del teatro di ogni tempo: la tragica, struggente vicenda dei due amanti veronesi, immortalata da Shakespeare cinque secoli fa. L’allestimento, prodotto nel 2007, è curato da Leo Muscato e nel cast compaiono Dario Buccino, Ruggero Dondi, Marco Gobetti, Pierfrancesco Loche, Salvatore Landolina, Ernesto Mahieux, Giordano Mancioppi. Scene e costumi sono di Maria Carla Ricotti, le musiche originali di Dario Buccino, il disegno luci di Alessandro Verazzi. Sette comici si presentano al pubblico per interpretare la dolorosa storia di Giulietta e del suo Romeo. Sanno bene che è una storia che già tutti conoscono, ma loro sono intenzionati a raccontarla, osservando il più autentico spirito Elisabettiano. Nel teatro elisabettiano, quando un drammaturgo metteva mano a un testo, non si poneva l’obiettivo di scrivere un’opera letteraria. Suo compito era quello di fornire gli attori di elementi strutturali e verbali necessari per poter “raccontare” una storia, e far sì che chi l’ascoltava, si sentisse partecipe. Spesso si limitava a trascrivere per la scena, un poema già esistente, il più delle volte, conosciuto anche dal pubblico. le opere di Shakespeare, che noi oggi leggiamo, in realtà, non sono altro che ricostruzioni congetturali di quelle che, il singolo curatore, ritiene siano state le intenzioni dell’autore nello scrivere il testo. Punti cardini di quel teatro elisabettiano erano il Gioco, la Metafora e il Travestimento. Le compagnie erano composte da dieci, dodici attori più qualche avventizio che fungeva da comparsa. Poiché in uno spettacolo potevano esserci anche una quarantina di personaggi, era diffusa la pratica del doubling, che consisteva nell’affidare diverse parti ad uno stesso attore. Questa pratica era stata presa in prestito direttamente dai moralities e dagli interludes del Cinquecento, in cui, opere con quindici, venti personaggi, venivano interpretate da piccoli gruppi girovaghi che non comprendevano mai più di cinque, o sei attori. Ed è proprio da qui che parte questa originale messa in scena in cui sei guitti, rivali e complici allo stesso tempo, animati da buone intenzioni e non sempre eccelse capacità, da un lato si rubano le battute, dall’altro si aiutano come meglio possono. Convinti di essere dei bravi attori, non si rendono conto che, in realtà, quando sono in palcoscenico, non riescono neanche a dissimulare i loro rapporti personali fatti di invidie, ripicche, alleanze, rappacificazioni. A volte, le intenzioni dei personaggi si confondono con le loro, provocando una serie di azioni e reazioni a catena che, in una dimensione meta-teatrale assolutamente involontaria, finiscono per massacrare la storia dell’esimio poeta. Succede un miracolo però: nonostante tutto, la storia di Romeo e Giulietta vince su ogni cosa. In un modo o nell’altro, infatti, i comici riescono a raccontare la storia dei due giovani amanti; anche se a farlo sono degli uomini che “giovani” non lo sono più da tanto tempo. Questo Romeo e Giulietta, rivisitato, riscritto, interpretato alla rovescia è un piccolo capolavoro, uno spettacolo che riesce, cambiando con audacia l’ordine degli addendi, a ottenere il più shakespeariano dei risultati. L’allestimento del giovane regista, esponente tra i più interessanti della generazione emergente, poggia innanzitutto su solide basi storiche: un riferimento chiaro al teatro elisabettiano, interpretato da soli uomini, e la consapevolezza che i testi del cinquecento erano pre-testi sui quali veniva chiesto agli attori di improvvisare. Senza soluzione di continuità lo spettacolo esce da un genere ed entra nell’altro, e alla fine disegna un “Romeo e Giulietta” di rara fedeltà all’originale. Una fedeltà carica di onestà intellettuale e teatrale, una sincerità artistica che colloca questo nuovo lavoro di Leo Muscato tra le proposte più interessati del teatro italiano più recente. Perché al centro di tutto ci sono sette interpreti magistrali, una scena “ingombrante” nella sua essenzialità, grazie a geniali metafore spaziali e, a livello linguistico, una commistione tra comico, tragico, umoristico e grottesco che convivono insieme, senza nessuna forzatura. The Most Excellent and Lamentable Tragedy of Romeo and Juliet è il titolo originale della tragedia scritta presumibilmente tra il 1594 e il 1596, tratta da una novella di Bandello, che fu tradotta in francese da Pierre Boaistuau (1559) e poi in inglese, sia in prosa (da William Painter nel suo Palace of Pleasure, 1567) che in versi: il poema narrativo Tragicall Historye of Romeus and Juliet, scritto nel 1562 da Arthur Brooke. La modifica sostanziale che Shakespeare introdusse nella vicenda, più che le azioni e i fatti, riguarda la moralità e il significato assegnato alla storia. Gli amanti “sfortunati e disonesti” descritti da Brooke diventarono personaggi archetipici dell’amore tragico, riflettendo allo stesso tempo la crisi del mondo culturale e sociale dell’epoca, in cui il Principe e la Chiesa non riescono più ad imporre l’ordine (materiale e spirituale). Nella versione di Boaistiau ancora si condannava apertamente l’unione tra Romeo e Giulietta, colpevoli di avere ascoltato i loro istinti voltando le spalle ai sentimenti delle loro famiglie e l’ordine sociale a cui tutti debbono conformarsi. L’impostazione di Muscato è strutturalmente molto accurata, poiché Romeo e Giulietta è ritenuta diversa dalle “grandi tragedie” come Amleto e Macbeth. Baldini afferma come il Romeo e Giulietta sia “… un esperimento fallito, ché i vari moduli – eufuistico, fiammingo, senechiano, e, infine, realistico – non pervengono ad armonizzarsi tra loro, ma restano vistosamente isolati…”, mentre Granville-Barker definisce facilmente l’opera come tragedia lirica. Benedetto Croce, anche, definì il dramma “tragedia d’una commedia, Wain “commedia che si conclude tragicamente” e Northrop Frye una “commedia rovesciata”. Questa rappresentazione ne coglie quindi il cuore di tragicommedia: una via di mezzo tra una commedia (trae molto materiale dai Due gentiluomini di Verona) e una tragedia. Come si vede bene in questa rappresentazione, che sarà portata al “ridotto” del nostro Comunale il 20 ed il 21 prossimi, con inizio alle 21, coglie anche il fatto che l’amore stesso tra i due amanti è un ossimoro, un paradosso vivente che nell’impossibilità di essere risolto vince la morte stessa, ed è proprio la morte che dà vita e illumina la notte nell’estasi più grande provata da Romeo alla vista dell’amata. Ciò che il giorno aveva negato ai due amanti, dal riconoscimento della loro unione alla celebrazione di un matrimonio è alla fine concesso nella cripta, la chiesa sul cui altare trionfa l’amore più profondo, che contagia finalmente anche le loro famiglie.


17 Gennaio 2011

Categoria : Cultura
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