Sanità, caos esenzione


(di Carlo Di Stanislao) – Dal 1° maggio le autocertificazioni sul reddito per ottenere l’esenzione dal pagamento del ticket per visite ed esami specialistici devono essere validate dai medici. Ma i medici non ci stanno e chiedono che siano le Asl ad effettuare i controlli, mentre tra i cittadini regna la confusione, come conferma il segretario nazionale della Federazione italiana dei medici di medicina generale (Fimmg), Giacomo Milillo. Obiettivo, encomiabile, delle nuove norme è combattere l’evasione in questo settore considerando che, secondo alcune stime, ammonta a oltre un miliardo di euro l’anno l’evasione sui ticket sanitari e sarebbe esentato senza diritto circa il 40% dei malati. Ma non si vede perché ad operare controlli debbono essere professionisti con precise funzioni e formazione di diagnosi e cura. A godere dell’esenzione dei ticket dovrebbero essere le fasce con reddito più basso e per questo è richiesta una autocertificazione per non pagare la tassa su visite ed esami. La confusione deriva anche dalla diversità delle procedure regionali. Il medico deve, infatti, rilevare il codice di esenzione tramite i sistemi regionali e indicarlo sulla ricetta. Se però il paziente non risulta presente negli elenchi, la Regione Lazio, per esempio, ha stabilito che fino al 30 giugno 2011 si potrà ancora ricorrere alla autocertificazione, ma nel frattempo il cittadino dovrà comunque recarsi presso le asl per rendere l’eventuale autocertificazione. Iter diversi in altre regioni: in Emilia Romagna, sono ad esempio le asl o i patronati a rilasciare i certificati di esenzione che il cittadino dovrà presentare al medico. In Campania, invece, sono previsti meccanismi attraverso i quali la Regione provvede ad aggiornare i programmi dei medici, per cui il codice di esenzione del cittadino compare in automatico. Intanto un’Ansa di oggi, ci informa che 636 assistiti della ASL di Perugia, sono stati denunciati a piede libero dai carabinieri del Nas per avere dichiarato un reddito inferiore a quello reale, al fine di ottenere l’esenzione al pagamento del ticket sanitario. L’indagine – denominata ”Furbetti del ticket” – ha interessato tutte le Asl dell’Umbria. Il danno al Servizio sanitario regionale e’ stimato in circa 250 mila euro per il 2010. Le indagini, iniziate a ottobre dello scorso anno, preso in esame circa 10.000 dichiarazioni dell’anno 2010, delle quali il 6,5% circa e’ risultata falsa. In alcuni casi e’ stato accertato come il reddito effettivo del nucleo familiare del dichiarante fosse di oltre 100.000 euro, ovvero circa tre volte il tetto massimo previsto per ottenere l’esenzione. Nel corso delle operazioni sono state poste sotto sequestro penale circa 900 prescrizioni mediche relative alle false dichiarazioni attestate. Con tutte le principali sigle di categoria, anche noi riteniamo che il problema delle false dichiarazioni sia una piaga da sanare, ma anche che non si può chiedere ai medici di svolgere ruoli che non ha e per cui non è preparato, con un aggravio per il lavoro con la sottrazione di tempo all’assistenza dei pazienti, oltre alla esposizione ad errori poiché i medici non hanno, né debbono avere, una competenza giuridico-economica tale da potersi districare in questo settore. Ogni anno il sistema sanitario recupera 1 miliardo e 605 milioni di euro di ticket. Il 73% della cifra entra direttamente nelle casse delle aziende sanitarie, il resto viene riscosso dal privato convenzionato. Per avere una prima idea dell’evasione va fatto il rapporto tra incassato e popolazione di ogni Regione. Le differenze tra le varie realtà sono legate alla maggiore o minore incidenza degli esenti per reddito, perchè non ci sono motivi epidemiologici che facciano pensare a grosse differenze nei dati di quelli per patologia. Questo tipo di esenzioni, tra l’altro, richiedono un certificato medico e un attestato della Asl, cioè si ottengono con una procedura assai più complessa dell’autocertificazione. Ovviamente esistono i falsi malati, e sono tanti, ma se si parla di ticket pesa di più l’evasione di chi dice di non guadagnare abbastanza. Ebbene, a guardare il dato nel dettaglio si trovano differenze importanti. Ogni anno in Valle d’Aosta gli abitanti pagano in media 36,3 euro a testa per visite ed esami nel pubblico, in Veneto 36,2, in Emilia 33,9, in Friuli 33,6, in Toscana 32,9, in Piemonte 30,8, nelle Marche 28,8. Partendo dal fondo della classifica ci sono la Calabria con 15,5 euro versati all’anno, poi la Puglia con 17,5, la Campania con 22,3 euro, l’Umbria 26,1, la Sardegna con 26,5, la Sicilia, 27,7. Non brillano il Lazio, con 21 (ma il dato non tiene conto di quanto riscosso dal privato convenzionato), e la Lombardia, che si ferma a 27,1. La media nazionale è 26,7 euro. Si potrebbe dire: valutare la spesa dei cittadini non basta, perchè certe Regioni sono più povere. Se il sistema si uniformasse e le Regioni facessero maggiore attenzione all’evasione, i soldi recuperati dalle casse delle Asl sarebbero molti di più. Questo ragionamento è rafforzato da altri dati, ricavati dal rapporto tra l’investimento del sistema per offrire ai cittadini l’attività specialistica e i soldi che rientrano dai ticket per compensare questi esborsi. Le strutture pubbliche per assicurare ai cittadini italiani esami, analisi e visite spendono circa 13 miliardi e 600 milioni di euro. Il sistema, si diceva, incassa dai ticket circa 1 e 605 milioni, cioè l’11,8% di quanto spende. Dunque, se tutte le Regioni, grazie a più verifiche mirate a scovare i furbetti, portassero i loro dati ad un livello ritenuto dai tecnici sanitari plausibile e comunque non irraggiungibile, cioè intorno al 20%, quanto incassato con i ticket salirebbe a 2 miliardi e 722 milioni di euro. Cioè un miliardo e 100mila euro in più, soldi che presumibilmente oggi vengono evasi. Al di là dei tentativi delle Asl italiane di fare controlli e recuperare i soldi di ticket perduti, resta fondamentale l’attività delle forze di polizia e illogica invece quella che scarica tutto sulle spalle dei medici, già burocratizzati tanto che la visita, la diagnosi e la terapia, sono agli ultimi posti della sua attività professionale. Come ribadito mesi fa da Maurizio Benato, presidente dell’Ordine dei Medici di Padova, oggi si tende sempre più a burocratizzare il ruolo medico, con le nuove norme sul ticket che hanno ulteriormente aggravato il carico burocratico già intollerabile della professione, sottraendo tempo ed altre risorse come l’attività di diagnosi e terapia, con il risultato di squalificare le prestazioni del medico e di minarne la fiducia da parte del cittadino. La burocratizzazione della professione, sacrificata sull’altare del risparmio, sta privando la classe medica del controllo della propria attività lavorativa che assume sempre di più la forma di un “prestazionificio” nel mercato sanitario in cambio di un salario. In tutto questo si scorge il chiaro, imminente pericolo di creare una divaricazione tra gli scopi della medicina e quelli dell’apparato sanitario, con una costante delegittimazione dei contenuti scientifici e metodologici propri della medicina e di conseguenza anche del medico. Il problema della limitazione nelle risorse va considerato dal punto di vista dell’appropriatezza della risposta sanitaria e non dovrebbe, come accade, arrecare gravi danni alla professionalità degli operatori in nome di risparmi ottenibili con altri mezzi.


03 Maggio 2011

Categoria : Cronaca
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