Veleni di Bussi, decenni di silenzi e vittime


Bussi – (di Gianfranco Colacito) – DALL’IPRITE AL CLORO – Il TG2 dossier di ieri sera, dedicato alle tante terre avvelenate che costellano l’Italia (bel paese del Sole e del mare, come vuole le retorica; paese di veleni e complicità criminali, come dice la cronaca) ha riproposto (ma a tarda ora, così non sono stati in molti a seguirlo) la vicenda allucinante dei veleni di Bussi, delle sue vittime, che nei decenni sono state centinaia, a partire dalla metà degli anni Trenta. E oggi? “Sicuramente ci si ammala di più da queste parti” ha dichiarato una dottoressa intervistata al volo.
Basta leggere i dati della sanità, che dovrebbero essere pubblici. Anzi, se esistessero una coscienza democratica e una serietà comunicativa, dovrebbero essere resi pubblici dalla Regione Abruzzo, che sovrintende alla sanità. O dai sindaci, che sono i tutori della salute dei cittadini nel loro territorio. Ma da istituzioni e autorità alla stampa arrivano solo comunicati di esaltazione e di autoelogio, e le solite dichiarazioni che non dichiarano nulla di utile. Questa è la coscienza democratica di cui ci gioviamo…
Secondo il TG2 dossier, fin da metà anni Trenta – ma chi conosce un po’ di storia abruzzese lo sapeva – a Bussi si produceva iprite, un gas velenoso per usi bellici, una delle vergogne dell’umanità, che fu poi proibito dalle convenzioni internazionali, ma esiste ancora ed è stato usato più volte. L’iprite è micidiale e nello stabilimento (chiuso tra le montagne, quindi protetto da incursioni aeree belliche) c’erano incidenti quasi ogni giorno, con vittime, e in paese ci si ammalava a ripetizione. Ma nonostante ciò, la gente “bussava alle porte dell’industria per avere un posto di lavoro”. Successivamente, lo stabilimento è stato trasformato e per decenni ha prodotto acidi e adoperato cloro e altri elementi fortemente tossici.
Solo negli anni Duemila la forestale ha “scoperto” l’immensa discarica di velenti lungo il fiume Pescara, tra i pilastri dell’autostrada A-25, a pochi metri da case e terreni coltivati, strade e ferrovia, e dall’ospedale di Popoli. La discarica più grande d’Eueropa, un mostro ecologico a base di cloro e altri veleni terribili, sepolti fino a diversi metri di profondità, inquinanti per le acque del fiume, per le falde idriche, per la campagna irrigata con acque tossiche. Un mostro che per decennni è stato alimentato con interramenti di materiale, sicuramente vistosi, ma “sfuggiti” a forestale, carabinieri, polizia stradale, sanità, sindaci, sindacati, medici, controllori distratti, politici parlamentari impegnati forse a chiedere raccomandazioni all’industria, agenzie ambientali, ambientalisti che pensavano ai pollai abusivi e a Monte S.Cosimo di Pratola, ma ignoravano che presso Bussi c’erano velenti mostruosi a migliaia di tonnellate. Che professionisti…
Poi la forestale è entrata in azione, e ora c’è un processo a Pescara che faticosamernte va avanti, come sempre a ritmo di lumaca. Potenti principi del foro sapranno ideare tutti i magheggi necessari a rendere il processo lento, inefficace, in attesa che molti degli imputati escano di scena. Una storia mostruosa di un Abruzzo da brivido, che ha sempre avuto anche la sfrontatezza di autodefinirsi regione verde d’Europa. Verde come tanti tombali impasti tossici che giacciono sotto la terra lungo la A-25. Zone in cui è bene non recarsi o farlo con la mascherina: il veleno è in agguato ancora oggi. Un buon servizio dal TG2 dossier, buona televisione, ma sapientemente occultata tra orari impossibili e partite di calcio incombenti. Comunque, una replica, e questo va benissimo. Nessuno potrà cadere dalle nuvole, quando conteremo morti e danni. Chiudiamo in bellezza: il danno che dovrà essere riparato ammonta a milioni di euro, che ovviamente non ci sono e che comunque già attirano cupidige e appetiti di “specialisti”. Forse qualcuno se la ride anche, come durante il terremoto qualche affarista e imprenditore…
(Nelle foto: l’area della discarica dall’alto, prelievi per le analisi, e com’è oggi lo stabilimento, che conta solo 120 dipendenti, e peraltro spesso in difficoltà. Un tempo erano 1.400 spesso disposti a rischiare la morte per poter lavorare. Sacrifici inutili, oggi solo veleni e danni enormi)


27 Giugno 2010

Categoria : Cronaca
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