La Samaritani su Laudomia Bonanni


Sulla rivista on line www.amicomol.com , la studiosa e scrittrice Fausta Samaritani ha pubblicato un lungo scritto dedicato ai “nostro fratelli abruzzesi, Laudomia Bonanni, scrittrice aquilana del Novecento.
Ne riproduciamo volentieri una parte.

Nel salotto Bellonci nasce una scrittrice – di FAUSTA SAMARITANI – Una mattina di maggio 1948 gli “Amici della domenica” si ritrovano da Goffredo e Maria Bellonci, per assistere alla proclamazione del vincitore di un nuovo premio letterario, per un’Opera inedita di Autore inedito. Il prescelto vincerà 127mila lire, raccolte tra gli “Amici della domenica”, e avrà la pubblicazione garantita, nella Collana di Mondadori “La Medusa degli italiani”.
All’apertura della busta, su cui è scritto Il fosso, che è il titolo dell’opera vincitrice, salta fuori il nome di Laudomia Bonanni Caione, di Aquila. Nessuno dei presenti l’ha mai udita nominare. Ella ha presentato due racconti lunghi, Il fosso e Il mostro, raccolti sotto il comune titolo Il fosso. Dallo stile di scrittura e dalla scelta dei temi, i giurati erano convinti che l’Autore fosse un signore toscano di circa sessanta anni… Laudomia invece ne ha appena compiuti quaranta. Piccola di statura, grassottella, capelli corti e arricciati, è estranea al mondo letterario, un po’ snob, della Capitale. Sfigurerà di fronte alla raffinata eleganza di Maria Bellonci, alla linea perfetta di Alba De Céspedes, alla splendida vacuità di Elsa de’ Giorgi? Poche domeniche dopo, quando varca la soglia del famoso salotto letterario romano, Maria Bellonci la prende sotto la sua speciale protezione: le sarà amica per il resto della vita.

Via quel Caione, cacofonico! Da questo momento la nostra scrittrice sarà semplicemente Laudomia Bonanni. Goffredo Bellonci conia per lei un magico soprannome: “La penna dell’Aquila” e l’accoglie, come elzevirista, nella terza pagina de «Il Giornale d’Italia», il quotidiano che – salvo un breve intervallo, perché Enrico Falqui la porta a «Il Tempo» – resterà per lunghi anni la testata di riferimento della nostra Autrice. Laudomia ha l’illusione che anche Sibilla Aleramo le sia amica; al contrario Sibilla, che ha aderito al Pci e è più adulta e più scaltra, dopo poche settimane prende le distanze, forse perché non approva che la Bonanni collabori a «Il Giornale d’Italia», una testata filo governativa e filo atlantica.

Il fosso esce ad agosto 1949. Due racconti non bastavano: Laudomia ha integrato con Messa funebre e Il seme: due storie ambientate in Abruzzo, a Caramanico, «al tempo dei Tedeschi». Negli anfratti della Maiella, nelle cantine delle case rurali si annidavano allora partigiani, gruppi di “neri” irregolari, soldati anglo-americani dispersi. In paese restavano donne e bambini, inermi davanti alle tragedie.
Protagonista del racconto Il fosso è Colomba, una trovatella che vive stentatamente, in condizioni di disagio esistenziale. Ha lasciato la protezione del convento e sposato un uomo poverissimo, ma onesto. Molla della sua esistenza grama è l’istinto di sopravvivenza, la “necessità” di vivere. Dei quattordici suoi figli, solo due sono viventi: Vincenzo e Onorina che, come bestiole, giocano in una discarica, lottano contro la denutrizione, la miseria, la malattia, con identico rabbioso bisogno di esistere. Vincenzo si rinforza, mentre Onorina, «uno sterpolo di ragazza senza germoglio di seno», si ammala, non lotta più, muore. Il fosso esce prima che l’Esistenzialismo, già presente in Francia in forma embrionale, abbia dato alle stampe i suoi maturi frutti letterari. Il mostro, di ambientazione borghese, è la storia di una insegnate e educatrice, impreparata di fronte alle prime pulsioni sessuali di un nipote adolescente. Grazie a questo racconto, Laudomia Bonanni è definita “Moravia in gonnella”.

Antonio Baldini le apre le porte della fiorentina “Nuova Antologia”, su cui esce Corte Paradiso, racconto ispirato alla storia vera di un gruppo di vecchi delle montagne abruzzesi, scaricati come fagotti da un camion tedesco, davanti all’ospedale dell’Aquila. L’ultimo inverno di guerra ha imbiancato la corte di neve. Alcuni vecchi non sono neppure malati: che ne deve fare il primario chirurgo, che è Paride Stefanini e che attende i feriti del bombardamento di Sulmona? Laudomia Bonanni ha assistito a questa scena straziante e ne ha rinverdito la memoria.
Suoi racconti sono pubblicati anche da altre riviste, come «Il Ponte», diretto da Piero Calamandrei e, più tardi, da «Civiltà delle Macchine». La Bonanni trova difficoltà con «La Fiera Letteraria», per la poco comprensibile ostilità di Cardarelli, che ne è direttore editoriale e che si mostra ambiguo nei suoi confronti. Sulle pagine de «La Fiera Letteraria» uscirà qualche anno dopo la più ferma stroncatura a un libro della Bonanni, stroncatura che la riempirà di risentimento avvelenato. Non piace Laudomia Bonanni né alla critica troppo orientata a sinistra, né a quella di rigida militanza cattolica.
Il fosso merita molte critiche, anche eccellenti. Lo lodano Eugenio Montale, Goffredo Bellonci, Geno Pampaloni, Giuseppe De Robertis e molti altri. Enrico Falqui lo accetta, ma con qualche riserva. Ne parla diffusamente Ferdinando Giannessi, giovane professore di italiano alla Bocconi, che sarà amico di Laudomia e ne raccoglierà le confidenze. A gennaio 1950 Laudomia Bonanni riceve il premio Bagutta Opera prima, mai, prima d’allora, conferito a una donna. A Milano conosce Maria Luisa Spaziani, giovanissima: molti anni dopo, a Roma, le due amiche si ritroveranno spesso, a conversare, sedute sull’erba, in un giardino frequentato da mamme con bambini.
Presenta a Mondadori un romanzo il cui titolo, Stridor di denti, è tratto da un celebre versetto di Matteo sui patimenti infernali. Il rifiuto di Mondatori è per Laudomia un feroce disinganno. Si reca a Milano per difendere la sua opera letteraria, ma è inutile. Chiude il dattiloscritto in un cassetto. Mondadori rifiuta poi una raccolta di novelle dal titolo Palma e sorelle che Laudomia propone all’editore Casini, La raccolta esce nel 1954 e ottiene a Milano il premio Soroptimist.
Da anni la Bonanni lavora a un romanzo, ambientato in un palazzo aquilano. Dal balcone della sua casa, in Corso Garibaldi, ella osserva le persone che abitano in un vecchio caseggiato che davanti ha un largo cortile, chiuso su fronte strada da cancellate sormontate da archi. Tra i cancelli c’è una fontana a forma di conchiglia. Il romanzo è L’imputata. Pubblicato da Bompiani nel 1960, arriva terzo allo Strega, grazie anche al sostegno di Montale e di Geno Pampaloni, e vince il premio Viareggio. Ne L’imputata, romanzo corale con risvolti polizieschi, i morti sono quattro: il neonato trovato dai bambini del caseggiato dentro un cartoccio di giornali bagnati, l’adolescente che s’impicca, il marchesino zoppo che si uccide con la pistola e il ferroviere accoltellato da un ragazzo di fronte a un gruppo di bambini.
Nel panorama letterario italiano Laudomia Bonanni è ormai una stella di prima grandezza: le chiedono interviste radiofoniche, collaborazioni a quotidiani a riviste e almanacchi gastronomici. È inserita in raccolte di autori contemporanei, presenta libri. L’imputata e il successivo romanzo L’adultera (Bompiani, 1964) sono tradotti in francese e in spagnolo. L’adultera, storia di una donna giovane, piazzista di tessuti, che viaggia da Milano a Roma, fino a Napoli, per incontrare l’amante – e a Napoli muore, per una fuga di gas nel bagno – vince il Campiello.
Laudomia Bonanni lascia la casa paterna e si trasferisce in un appartamento modernissimo, dalle cui finestre lo sguardo spazia su Roio. Nella nuova casa aquilana la va a trovare il giovane Bruno Vespa, per una intervista. L’indirizzo ha per noi un suono sinistro: via XX Settembre, L’Aquila. Sono polvere e calcinacci gli edifici che negli anni Sessanta erano nuovi. Calcinacci e polvere, dopo il sisma del 2009. Corso Garibaldi è invece sbarrato e per entrare serve uno speciale permesso. Esiste il caseggiato dove Laudomia Bonanni ambientò il suo romanzo di maggior successo, L’imputata; esiste la fontana a forma di conchiglia e il palazzo dove abitava la famiglia Bonanni Caione; ma nessuno vive in questi luoghi: squallore di giorno, buio la notte. La vita, in Corso Garibaldi, esiste solo nelle pagine di un romanzo della Bonanni.

Muore la madre, Amelia Perilli. Laudomia lascia l’incarico di consulente al Tribunale dei Minori dell’Aquila e convince sua sorella Isa, di poco più giovane, a lasciare L’Aquila e andare a abitare con lei a Roma: non è una scelta dettata dal bisogno di abbandonare la città natale di provincia, che le sta stretta, per risiedere a contatto con letterati editori e giornalisti. La verità è che Laudomia Bonanni non riesce più a scrivere. In una lettera a Maria Bellonci confessa di star male e di aver paura. Fugge da sé stessa?
Sulla terza pagina di vari quotidiani continuano a uscire suoi vecchi elzeviri, a volte in parte rimaneggiati. Bompiani ripubblica i suoi libri Il fosso e Palma e sorelle. Tradita dalla sua indole, sensibilissima, nel momento più delicato della sua vita di donna, sembra che in Laudomia Bonanni la vena di scrittrice sia esaurita. Per le strade e nelle piazze manifestano i ragazzi del ’68.
“.


08 Novembre 2011

Categoria : Storia & Cultura
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