Riedificare “tutto” ciò che non c’è più?


L’Aquila – (testo e foto di Gianfranco Colacito) – Qualcuno dovrà pure prendere il coraggio a due mani, e porsi, porre degli interrogativi sui quali si deve aprire un dibattito. Non fumoso e retorico, ma chiaro e onesto. Il riuso, diciamo, di Collemaggio e di S.Maria Paganica, pone problemi enormi, ed esige l’impiego di risorse ingenti, mentre la città, e l’area terremotata ancora di più, soffrono in una crisi senza precedenti. C’è gente che ha perso beni e lavoro, aziende in difficoltà, artigiani rovinati, commercianti sul lastrico, e c’è un mare di persone smarrite, sia a causa di quanto è capitato loro nell’aprile del 2009, sia per come è diventata la vita nel cupo dopoterremoto.
Non è il momento di rinfocolare polemiche, fare politica, lanciare accuse: c’è un solo caso morale, giudiziario, sociale, quello dei martiri del terremoto, i 309 morti. Tocca alla giustizia risolverlo ed ha imboccato la sua strada. Parleranno giudici e sentenze.
C’è, di contro, un altro caso: la città da ricostruire. Nei fatti, la sola cosa ricostruita è la fontana delle 99 Cannelle, con il concorso di generose persone e associazioni. Il resto è rovina. Ma quanto è rovina?
A tutti va un’esortazione: visitate S.Maria Paganica. L’imponente chiesa in pratica non esiste più, se non in smozzicati muri perimetrali. Visitate Collemaggio: una straziante prospettiva di impalcature, ponteggi, puntelli, mura morse dal sisma, fermate con il cemento. Le spoglie di Celestino adagiate sulla base di uno dei pilastri venuti giù. Almeno, lì era oggi, sotto gli occhi dei tanti entrati nella basilica.
Se per Collemaggio si può parlare di un recupero, visto che la maestosa navata centrale e le due laterali ci sono; se per le 99 Cannelle si è potuto ripristinare la struttura e consolidarla esattamente com’era, per tanti altri edifici sacri e profani della città ciò porrà dei problemi immensi, comporterà spese titaniche e tempi smisurati. Ne vale la pena? E’ razionale farlo?
Occorre un crudele, pragmatico metro di giudizio. L’Aquila non sarà mai com’era. Alcune strutture sono perdute per sempre. Pensare di rimetterle in piedi sarebbe un impegno insostenibile e un falso storico plateale. Per i monumenti vale una regola: teniamo in piedi ciò che resta, non inventiamo, riproduciamo, falsifichiamo. Portiamo due esempi: chi penserebbe mai di rifare l’anfiteatro di Amiternum o la chiesa di S.Pietro ad Oratorium a Bussi? Un edificio artistico non ritorna mai com’era, se la devastazione è profonda.
Intendiamo solo suscitare un dibattito, evidenziare il problema, metterlo in luce, interpretando anche il pensiero di molti che tacciono, ma hanno idee contigue. E si pongono le stesse domande.
L’economia presente della città ha bisogno di puntelli e risorse. C’è bisogno di lavoro, benefici fiscali, incentivi, risarcimenti, iniezioni di sostanze vitali per chi sente svanire la voglia e la forza di esserci ancora. In Friuli valse una logica: prima le aziende, poi le case, e infine chiese e quant’altro appartiene alla storia.
Qui, fra l’altro, molta storia si è salvata ed è oggettivamente recuperabile. Dal ritorno delle 99 Cannelle, mettiamoci a pensare seriamente sul da farsi. Non gettiamo oro nella fucina per l’impossibile sogno del ritorno a prima del 2009. Quell’oro semplicemente si scioglierebbe scomparendo in mille piccoli, inutili rivoli, alcuni dei quali diretti solo nelle tasche assetate di chi vuole fare, fare, ovvero lucrare, arricchire. Non ci sarà mai una chiesa senza i suoi fedeli o i visitatori dell’arte. Prima la gente, poi le pietre, laddove è possibile. E non sempre lo è.
(Nelle foto: la chiesa del Duomo parzialmente crollata con l’intera Curia vicina, le spoglie di Celestino V e due scorci dell’interno di Collemaggio come appare oggi):


16 Dicembre 2010

Categoria : Storia & Cultura
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